Ricordo di Carlo Alberto dalla Chiesa, il Generale prefetto che combatté le Br e la mafia
Il 3 settembre 1982, esattamente 35 anni or sono, fu ucciso a Palermo il generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, protagonista della lotta al terrorismo delle Brigate Rosse e poi alla criminalità mafiosa, nominato dal Governo Prefetto di Palermo proprio a quello scopo. Vogliamo ricordarlo con parole semplici, ma in modo più completo di quanto non abbiano fatto importanti siti istituzionali.
BRIGATE ROSSE – Piemontese di Saluzzo, classe 1920, al culmine di una carriera spesa nell’Arma (anche il padre Romano era stato generale dei carabinieri), negli anni di piombo, precisamente nel 1973, è chiamato dal Governo a fronteggiare la crescente attività eversiva delle Brigate Rosse. Per un’efficace attività di contrasto dà vita al Nucleo Speciale Antiterrorismo con base a Torino; dalla Chiesa sceglie personalmente gli ufficiali più idonei allo svolgimento del nuovo incarico che, grazie alle particolari tecniche di indagine, all’utilizzo di agenti infiltrati e alla collaborazione di terroristi pentiti, riesce ben presto ad ottenere importanti successi come l’arresto dei fondatori delle BR, Renato Curcio e Alberto Franceschini.
PALERMO – Assolto questo compito, all’indomani dell’assassinio mafioso di Pio La Torre nell’aprile 1982, ispiratore dell’introduzione nel codice penale dell’art. 416 bis, il generale è nominato dal Consiglio dei Ministri prefetto di Palermo, con il compito cruciale di condurre una serrata attività di contrasto alla criminalità organizzata siciliana, che nella sua vita professionale aveva già avuto modo di conoscere.
VIA CARINI – Il 3 settembre 1982, verso le ore 21, in via Isidoro Carini a Palermo, l’auto sulla quale viaggiava insieme alla consorte Emmanuela Setti Carraro fu affiancata da una BMW dalla quale vennero esplose raffiche micidiali di kalashnikov; contemporaneamente una motocicletta affiancò l’auto di scorta guidata dall’agente Domenico Russo che, ferito gravemente, morì in ospedale pochi giorni dopo la tragica sera dell’agguato.
FUNERALE – Il giorno del funerale una grande folla di cittadini si riunì presso la Chiesa di San Domenico a Palermo protestando duramente per l’accaduto; solamente il Presidente della Repubblica Sandro Pertini venne risparmiato dall’aspra contestazione.
MINISTERO – Anche il Ministero dell’Interno ricorda oggi, con un trafiletto molto striminzito, il Generale-Prefetto “che ha dedicato e sacrificato la sua vita per il bene dell’Italia. (…) Per la strage di via Carini sono stati condannati all’ergastolo tanto i vertici di “Cosa nostra” Totò Riina, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Michele Greco, quanto gli esecutori materiali. Quella del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa è una storia di coraggio, di lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata dove capacità investigativa e perseveranza hanno condotto ad importanti successi come l’arresto dei fondatori delle BR, Renato Curcio e Alberto Franceschini”.
FIGLI – La figlia Simona dalla Chiesa, insieme a Rita e Nando, gli ha dedicato un libro “Carlo Alberto dalla Chiesa”, dal quale traiamo due passi significativi.
«L’isolamento percepito: ad agosto ci siamo ritrovati nuovamente tutti insieme nella casa di campagna. Papà ostentava con noi figlie e con i bambini una tranquillità e un’allegria che nascondevano invece grande preoccupazione. Per due volte, nell’arco di pochi giorni, era rientrato in Sicilia. In entrambe le occasioni aveva toccato con mano la solitudine in cui era stato lasciato (una solitudine testimoniata con parole incredule da Giorgio Bocca, che in una prefettura deserta e senza alcuna misura di sicurezza aveva incontrato papà per un’intervista divenuta poi “storica”) e la sua esperienza gli faceva comprendere che le tecniche di isolamento e delegittimazione nei suoi confronti erano ormai pienamente operative…».
«Qui è morta la speranza dei palermitani onesti. Così era scritto su un foglio lasciato sul luogo della strage, in via Carini…Ma la speranza non era morta. La sua presenza non era stata una meteora, ma aveva lasciato un segno profondo nella coscienza popolare. No, non era morta la speranza dei palermitani onesti. Via Carini è divenuta un luogo simbolo, e proprio da Palermo è partito un movimento civico che, anno dopo anno, ha visto maturare su tutto il territorio nazionale un sempre maggior coinvolgimento sui temi della legalità».
Credo che queste parole dei figli siano il miglior modo di ricordare un esemplare servitore dello Stato che ha sacrificato la sua vita per il bene della collettività.