Londra, Brexit: la May annuncia, il divorzio dall’Ue non sarà breve. Ma Moody’s declassa il regno Unito
LONDRA – Niente divorzio breve, fra Gran Bretagna e Unione Europea. Theresa May, da Firenze, prova a tirar fuori dalle secche il negoziato sulla Brexit e lo fa senza alcun ripensamento sull’uscita dal club dei 28, ma con la proposta esplicita di un periodo di transizione morbida. Due anni di tempo, per lasciarsi nel 2019 e dirsi addio nel 2021: restando possibilmente amici e giurando di garantire fino in fondo i diritti dei tanti cittadini europei residenti a Londra o nel resto del Regno, italiani inclusi. Più che una svolta, il discorso di Santa Maria Novella oscurato un po’ in tarda serata dall’annuncio di Moody’s di declassare il rating della Gran Bretagna da Aa1 ad Aa2, anche a causa delle nebbie della Brexit – é stata un’apertura di tavolo, con molti punti da chiarire. Segnata da accenti orgogliosamente patriottici (siamo la quinta potenza economica del mondo, siamo un popolo indomabile, il nostro destino post Brexit sarà luminoso), ma anche da spunti di dialogo e pragmatismo che Bruxelles, per bocca del capo negoziatore francese Michel Barnier, é parso accogliere per la prima volta in tono possibilista. Barnier – dopo sei mesi di freddezza e di colloqui mai decollati davvero – ha evocato stasera un passo in avanti, per quanto tutto da tradurre in posizioni negoziali.
Paolo Gentiloni ha apprezzato da parte sua lo spirito costruttivo. E lo stesso ha fatto più tardi Emmanuel Macron, ma ammonendo che senza ulteriori chiarimenti sulle questioni preliminari (diritti dei cittadini, confini irlandesi e obblighi finanziari) non si potrà procedere oltre. Scarrozzata su una Maserati, la premier conservatrice britannica ha attraversato una città imbandierata da vessilli blu dell’Unione: innalzati a Palazzo Vecchio e sventolati da un centinaio di manifestanti anti-Brexit rimasti a far da sfondo. Poi, è salita sul podio e ha cominciato a scoprire finalmente qualche carta sotto gli occhi di una platea di invitati scelti e lo sguardo vigile del suo politburo: i ministri euroscettici Boris Johnson e David Davis e il moderato Philip Hammond.