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Economia: Ocse promuove l’Italia renziana per il lavoro (ma sbaglia), e la boccia per l’istruzione

PARIGI – Come al solito le istituzioni internazionali, che non conoscono a fondo la nostra realtà, lanciano giudizi infondati e basati solo sulla propaganda che il regime renziano ha propalato nei vari ambienti politici ed economici. Ecco che l’Ocse, normalmente critica nei confronti dell’Italia, plaude entusiasticamente alle conquiste del governo del rottamatore in termini di posti di lavoro, attraverso gli effetti fantasmagorici del fallimentare Jobs Act. Gli esperti dell’organizzazione citata ci dicono addirittura che negli ultimi anni il governo italiano ha messo in atto un insieme di riforme strutturali, compreso il Jobs Act del 2015, che mirano ad affrontare le sfide sull’occupazione. Nel report sulla Strategia per le competenze si sottolinea «Tutte assieme le novità hanno dato una spinta: sono circa 850.000 posti di lavoro creati da quando queste riforme sono state adottate e il numero di nuovi contratti a tempo indeterminato è aumentato». Peccato che le statistiche ci dicano l’opposto, che i contratti stabili sono diminuiti, sono aumentati i licenziamenti e è aumentato solo il lavoro precario. Si tratta comunque di risultati positivi, ma non definitivi e sostanziali.

Tutt’altra musica nel campo dell’istruzione, nel quale in Italia i risultati degli ultimi governi, quindi non solo di quello di Renzi, sono stati disastrosi. Perfino la magnanima Ocse è stata costretta a riconoscere che «solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%. Gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze in lettura e matematica (26esimo posto su 29 paesi Ocse). Non solo, quelli che ci sono non vengono utilizzati al meglio, risultando un po’ bistrattati. L’Italia è l’unico Paese del G7 in cui la quota di lavoratori laureati in posti con mansioni di routine è più alta di quella che fa capo ad attività non di routine». Proprio una bella situazione dunque, laureati non qualificati con la prospettiva di impieghi precari e con mansioni inferiori rispetto al titolo conseguito, è questa l’Italia attuale. Non ci meravigliamo che i giovani migliori scappino all’estero, con queste prospettive.

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