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Pensioni: la perequazione (minima) torna per legge dal 1° gennaio 2018. Aumenti da 72 a 260 euro lordi l’anno

La perequazione delle pensioni, demolita dalle sentenze politiche della nuova Consulta in salsa renziana, che ha giudicato più seguendo la ragion di Stato (esigenze del Governo) che le regole della Costituzione, torna a dare pur minimi effetti dal 1 gennaio 2018.

Non si arriva ai 1.000 euro promessi prima da Renzi e poi da Berlusconi (due populisti doc in tempi di elezioni), ma tuttavia un piccolo recupero viene accordato per legge (senza bisogno cioè di alcun provvedimento di Padoan, Boeri, Renzi e soci), che da quest’orecchio sono completamente sordi.

Il trattamento minimo pensionistico dunque l’anno prossimo tornerà ad aumentare dopo due anni di stop: dagli attuali 501,89 a 507,41 euro. Non per qualche decisione politica – come abbiamo opportunamente sottolineato – ma per il meccanismo automatico di adeguamento delle pensioni all’inflazione, o meglio alla variazione del costo di un determinato paniere che costituisce il punto di riferimento per le prestazioni previdenziali e assistenziali: l’indice Istat dei prezzi al consumo, tabacchi esclusi, perle famiglie di operai e impiegati.

Da gennaio si applicherà il valore provvisorio relativo al 2017 che è pari a 1,1%. Di conseguenza aumenteranno tutti i parametri di riferimento delle prestazioni previdenziali: dal trattamento minimo all’assegno sociale (da 448,07 a 453 euro), dai vitalizi al trattamento di invalidità civile, e poi ancora dei limiti di reddito per l’integrazione al minimo o il cumulo delle pensioni ai superstiti. Oltre ovviamente agli assegni ordinari in pagamento.

Per chi percepisce 1.000 euro lordi al mese, l’incremento sarà di 11 euro, con 1.600 euro il ritocco sarà di 16,72 euro, chi incassa 2.1oo euro avrà un aumento di 17,33 euro. Rapportato all’intero anno, quindi tredicesima compresa, significa che chi riceve la pensione minima avrà poco meno di 72 euro in più; chi intasca 13mila euro all’anno, ne riceverà 143 in più. Inoltre chi ha una pensione compresa tra 1.500 e 3.000 euro al mese guadagnerà tra i 2oo e i 260 euro lordi all’anno. Con il crescere dell’importo della pensione, l’aumento è proporzionalmente minore perché il meccanismo di perequazione favorisce gli assegni di valore più basso, riconoscendo solo a loro l’adeguamento pieno all’inflazione.

Con la conseguenza che con il passare degli anni il potere d’acquisto dei pensionati più ricchi diminuisce perché non viene completamente adeguato alla variazione dei prezzi. Ma contro le decisioni del nostro Stato, che pur con Renzi e compagni diventa sempre più di stampo bolscevico, hanno manifestato gli adepti della Cgil, che contestano il quadro normativo delle pensioni, in particolare la rigidità dei criteri di pensionamento.

Secondo le regole in vigore dal 2012 i requisiti per accedere alla pensione sono destinati ad adeguarsi automaticamente all’allungamento della speranza di vita con un primo aumento di 5 mesi di età o di contributi che dovrebbe scattare nei 2019. Questo a fronte di un requisito per la pensione di vecchiaia che già oggi per la maggior parte dei lavoratori, in teoria perché nei fatti si ha ancora la possibilità di incassare l’assegno diversi anni prima, è di 66 anni e 7 mesi, un livello che, come certificato ieri dal Censis, in Europa è il secondo più alto, dopo quello della Grecia.


Ezzelino da Montepulico


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