Pensioni: ancora sulla sentenza della Consulta sulla perequazione. Il motivato giudizio (negativo) di Franco Abruzzo
In merito alla sentenza della Consulta, accolta con favore dal Governo, da Renzi, da Boeri, che ha dichiarato legittima la regolamentazione renziana sulla perequazione delle pensioni, è interessante il commento fatto, a mente fredda, con raziocinio e a ragion veduta, da Franco Abruzzo, portavoce del Movimento Informazione e Libertà. Eccolo:
«Con un comunicato di 60 righe, diramato il 1° dicembre, la Corte Costituzionale ha spiegato una sua sentenza, la n. 250, di 25 pagine fitte fitte con caratteri piccolissimi. Che cosa sostiene la Corte? Il decreto-legge n. 65 del 2015 (bonus Poletti, ndr) sulla perequazione delle pensioni – emanato in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015 – non è una «mera riproduzione» del Dl 201 del 2011 (cosiddetto Salva-Italia) perché ha introdotto una disciplina «nuova» e «diversa», ancorché temporanea, della rivalutazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013. In particolare, ha riconosciuto la rivalutazione in misura proporzionale decrescente anche alle pensioni – prima escluse – comprese tra quelle superiori a tre volte il trattamento minimo Inps e quelle fino a sei volte lo stesso trattamento. Non vi è stata, dunque, alcuna violazione del giudicato costituzionale. È il primo punto fermo messo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 250 depositata oggi (disponibile in conclusione del testo e nell’articolo “Perequazione delle pensioni – Comunicato della Corte Costituzionale”) con cui sono state respinte tutte le censure al Dl 65/2015 contenute in 15 ordinanze”. Chi ha scritto il comunicato, che rispecchia la sentenza n. 250, ha dimenticato un piccolo grande particolare: la nuova sentenza ictu oculi costituisce una violazione della precedente sentenza n. 70 inviolabile in quanto costituiva un giudicato costituzionale ai sensi dell’articolo 136 della Costituzione.
La sentenza n. 70 ha abrogato la legge Monti/Fornero che sancisce il blocco della rivalutazione automatica degli assegni pensionistici per gli anni 2012/2013. Il dl 65 del Governo Renzi, tradendo la sentenza, ha escluso integralmente dalla rivalutazione le pensioni di importo superiore a sei volte (euro 2972,58) il trattamento minimo complessivo Inps. Nella ricostruzione del giudicato della Corte Costituzionale appaiono significativi taluni passaggi che, lungi dal limitare il decisum alle sole fasce (pensionistiche) più basse, garantendo solo a queste ultime l’integrale tutela dall’erosione creata dall’inflazione, in più parti, si riferisce a tutti i trattamenti pensionistici, anche a quelli di maggiore spessore. La sentenza n. 70 traduce ciò che la Consulta aveva formulato in termini di monito al Parlamento con la sentenza n. 316 del 2010, nel punto in cui la ratio decidendi (della sentenza n. 70) si manifesta nell’affermazione che “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, entrerebbero in collisione con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità”. Nella sentenza n. 70 si trova affermato, in continuità con la precedente giurisprudenza costituzionale, che “la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici è uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all’art. 38, secondo comma, Cost. Tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio di sufficienza della retribuzione di cui all’art. 36 Cost., principio applicato, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita».
Su questo punto cosa si legge nel comunicato della Consulta? “La pronuncia si colloca nel solco della giurisprudenza della Consulta ed è in piena continuità con la sentenza n. 70 del 2015 che dichiarò invece l’illegittimità costituzionale della disciplina del Dl Salva-Italia. Secondo la Corte, con quel Dl il legislatore aveva fatto un «cattivo uso» della propria discrezionalità, bilanciando in modo irragionevole l’interesse dei pensionati alla conservazione del potere d’acquisto delle pensioni con le esigenze finanziarie dello Stato, in quanto «aveva irragionevolmente sacrificato il primo», in particolare quello dei titolari di «trattamenti previdenziali modesti», in nome di esigenze finanziarie «neppure illustrate». Di qui la sollecitazione – con la sentenza n. 70/2015 – di un nuovo intervento legislativo per bilanciare in modo diverso i valori e gli interessi coinvolti, nei limiti di «ragionevolezza e proporzionalità», senza sacrificare nessuno dei due irragionevolmente. Il successivo Dl 65/2015 ha seguito queste indicazioni, ovviamente con effetto retroattivo, seppure limitatamente al biennio 2012-2013. Quanto basta per escludere che i pensionati abbiano potuto fare «affidamento» sulla disciplina immediatamente risultante dalla sentenza 70 (tanto più che il Dl è stato emanato ed è entrato in vigore a distanza di soli 21 giorni dal deposito della sentenza)”.
Continua Abruzzo: «La Corte ha sempre affermato che, dopo una sua sentenza, il Parlamento ha il divieto di rimettere mano alla legge dichiarata incostituzionale. E’ il cosiddetto principio del “giudicato costituzionale”. Con la sentenza n 70 questo principio non è stato rispettato: prima il Governo Renzi/Padoan con il dl 65 e oggi la stessa Consulta con la sentenza n. 250 hanno stravolto i principi fissati nel 2015.
La Corte non ha affermato di aver cambiato idea rispetto al 2015, ma ha negato che quella sentenza avesse affermato una verità semplice e chiara: che la legge Fornero era illegittima. Oggi, invece, sostiene che la sentenza n. 70 è stata in sostanza letta in maniera maldestra e che la prima sentenza di due anni fa avesse quel contenuto. Quindi invece di ribadire quello che aveva scritto, cioè che la sua prima sentenza aveva semplicemente dichiarato illegittima la Legge Fornero, ha invece affermato che quella sentenza era una pura “sollecitazione” al Governo perché la articolasse in maniera tale da “bilanciare in modo diverso i valori e gli interessi coinvolti”. La Corte non aveva dato alcun monito al Governo di intervenire e di correggere quello che era chiaro ed esplicito. In sostanza la legge Fornero era stata abrogata e toccava al Governo applicare la sentenza 70 a favore di tutto il popolo dei pensionati, magari diluendo il dovuto in comode rate annuali esercitando su questo punto quel potere discrezionale che l’ordinamento riconosce al Governo. Paradossale appare l’affermazione che i pensionati non potevano aver maturato un affidamento sulla sentenza n. 70 in quanto il dl 65 era stato varato appena 21 giorni dopo la pubblicazione della sentenza stessa.
Ma non è finita con le contraddizioni. Si legge nel comunicato della Consulta: “Secondo la Corte, il blocco della perequazione per due soli anni e il conseguente “trascinamento” dello stesso agli anni successivi «non costituiscono un sacrificio sproporzionato rispetto alle esigenze, di interesse generale», perseguite dalle disposizioni impugnate. La sentenza (scritta, come la numero 70/2015, da Silvana Sciarra) ha ribadito che la rivalutazione automatica è uno «strumento tecnico» necessario per salvaguardare le pensioni dall’erosione del loro potere d’acquisto a causa dell’inflazione, e per assicurare nel tempo il rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità dei trattamenti di quiescenza. Ha ribadito anche che va salvaguardata la garanzia di un reddito che non comprima le «esigenze di vita cui era precedentemente commisurata la prestazione previdenziale». È su questo «solido terreno» che il legislatore deve muoversi «bilanciando, secondo criteri non irragionevoli, i valori e gli interessi costituzionali coinvolti»: l’interesse dei pensionati a preservare il potere d’acquisto delle proprie pensioni; le esigenze finanziarie e di equilibrio di bilancio dello Stato. In questo bilanciamento il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, non può «eludere il limite della ragionevolezza», principio cardine intorno al quale ruotano le scelte in materia
pensionistica. Pertanto, se queste scelte si prefiggono risparmi di spesa, questi ultimi devono essere «accuratamente motivati», e cioè «sostenuti da valutazioni della situazione finanziaria basate su dati oggettivi». E le Relazioni tecniche sono la cartina di tornasole della razionalità di queste scelte. Ebbene, dalla Relazione tecnica e dalla Verifica delle quantificazioni relative al Ddl di conversione del Dl 65/2015 emergono «con evidenza» – diversamente dal Salva-Italia – le esigenze finanziarie di cui ha tenuto conto il legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità. Esigenze che, nell’attuazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità dei trattamenti pensionistici, «sono preservate attraverso un sacrificio parziale e temporaneo dell’interesse dei pensionati a preservare il potere di acquisto dei propri trattamenti». Ne è una conferma la scelta «non
irragionevole» di riconoscere la perequazione in misure percentuali decrescenti all’aumentare dell’importo complessivo del trattamento pensionistico, sino ad escluderla per quelli superiori a sei volte il minimo Inps. «Il legislatore ha dunque destinato le limitate risorse finanziarie disponibili in via prioritaria alle categorie di pensionati con i trattamenti pensionistici più bassi», limitando il blocco a quelli medio-alti (che, per giurisprudenza costituzionale, hanno margini di resistenza maggiori contro gli effetti dell’inflazione, peraltro contenuta nel biennio 2011-2012 come si ricava dalla Relazione tecnica)”.
Il cuore di questo terzo blocco del comunicato è tutto in questo passaggio: “È su questo «solido terreno» che il legislatore deve muoversi «bilanciando, secondo criteri non irragionevoli, i valori e gli interessi costituzionali coinvolti»: l’interesse dei pensionati a preservare il potere d’acquisto delle proprie pensioni; le esigenze finanziarie e di equilibrio di bilancio dello Stato”. Ed è di tutta evidenza che “le esigenze finanziarie e di equilibrio di bilancio dello Stato” sono destinate a prevalere. Le ragion di Stato battono lo Stato di diritto, l’articolo 81 Cost (con le modifiche imposte dalla Ue sul pareggio di bilancio) cancella e schiaccia i diritti fondamentali dei cittadini fissati nella prima parte della Carta fondamentale della Repubblica. Eppure con la sentenza 275/2016, la Corte costituzionale ha scritto solennemente che i diritti “incomprimibili” dei cittadini vengono prima del pareggio di bilancio. Era stata risolta così una controversia fra Regione Abruzzo e Provincia di Pescara: non devono venire meno i servizi agli studenti disabili a causa delle politiche di austerity. “E’ la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”. Si tratta di una sentenza di grande rilievo che mette in secondo piano i vincoli dell’articolo 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio (imposto dalla Ue al Governo Monti) rispetto ai diritti fondamentali dei cittadini (E TRA QUESTI DIRITTI FONDAMENTALI C’È ANCHE IL DIRITTO ALLA PEREQUAZIONE ANNUALE DELLE PENSIONI EX SENTENZA 70/2015 DELLA CONSULTA). Nel giro di meno di due anni quella sentenza è stata “dimenticata” dalla Consulta medesima. E’ grave che la Consulta abbia avallato, con il dl n. 65, la manipolazione da parte del Governo Renzi/Padoan di una sua sentenza. Eppure fino ad ieri nessuno poteva rimettere in discussione una pronuncia della Corte Costituzionale. Oggi quella visione è stata accantonata. E nessuno dice alcunché sulla scandalosa evasione che toglie ogni anno alle casse dello Stato almeno 300 miliardi di euro tra evasione Irpef, evasione Iva, economia in nero ed economia criminale. Nella sentenza 173/16 la Corte ha affermato che l’ingerenza dello Stato sulle pensioni sotto forma di prelievi e contributi di solidarietà deve avvenire una tantum. Mettiamo il Governo alla prova sperando di essere sorpresi dal rispetto del Governo stesso verso questo giudicato costituzionale. Per ora la Consulta ha statuito che i “ricchi” devono piangere in nome della “ragionevolezza” (una parola magica che giustifica tutto e il contrario di tutto)».