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Roma: dopo la gaffe sul dramma degli abusati Papa Francesco chiede scusa

Papa 4LIMA – Dopo l’ennesima, involontaria, gaffe nel corso di una delle sue forse troppe e inopportune osservazioni, dopo le polemiche suscitate anche nel mondo della Chiesa, papa Francesco fa retromarcia e chiede scusa. Da quando è salito al Pontificato il chiedere scusa è una delle sue caratteristiche salienti, anche troppo.

“La parola ‘prova’ è quella che mi ha tradito. Ho fatto confusione: non volevo parlare di ‘prove’, quanto di ‘evidenze’. C’è molta gente abusata che non può avere prove, non le ha. Magari le ha, ma sente vergogna e soffre in silenzio”. Così papa Francesco, durante il volo da Lima, ha risposto ai giornalisti sulle polemiche nate dalle sue dichiarazioni sul caso di Juan Barros, vescovo di Osorno (Cile) allievo dell’abusatore seriale Fernando Karadima. “Devo chiedere scusa – ha detto – perché la parola ‘prova’ ha ferito: ha ferito tanti abusati”. Il Papa è tornato a Roma, come previsto alle 14.15 e prima di andare in Vaticano ha fatto tappa a Santa Maria Maggiore.

“Sul vescovo Barros ho fatto una sola dichiarazione, a Iquique. In Cile ho denunciato gli abusi con molta forza, davanti al governo, nel discorso ai sacerdoti, ho detto cosa penso più profondamente sull’argomento. Sento di dover andare avanti con la tolleranza zero”, ha sottolineato il Papa.

“Il dramma degli abusati è tremendo, è tremendo”, ha aggiunto, raccontando il caso di una “donna di 40 anni, sposata, con dei figli: questa donna non prende la comunione da quell’epoca, perché la mano del parroco era la mano dell’abusatore”. “La parola prova non era la migliore – ha insistito -, volevo dire evidenze. Nel caso Barros non c’è evidenza. Non ho evidenze per condannare, né certezza morale”. Il Papa ha parlato anche di una lettera che è uscita e che “io scrissi alcuni anni fa. Quando cominciai a vedere il caso Barros. Quella lettera devo spiegarla – ha detto -, perché è anche una lettera a favore della prudenza su come è stato gestito il problema Barros. Quella lettera non è la narrazione di un fatto puntuale, è la narrazione di dieci-undici mesi. Quando è scoppiato lo scandalo Karadima, purtroppo conosciamo questo scandalo, si incominciò a vedere quanti sacerdoti che erano stati formati da Karadima, erano stati abusati o sono stati abusatori. Ci sono in Cile quattro vescovi che Karadima inviò al seminario. Qualche persona della Conferenza episcopale ha suggerito che questi vescovi, che sono tre – uno era molto malato e non era in carica in diocesi -, forse era meglio che rinunciassero, dessero le dimissioni, prendessero un anno sabbatico, poi, passata la tempesta, per evitare accuse… Sono vescovi bravi, buoni vescovi, come Barros, che è vescovo da 20 anni”.

“Voleva dare le dimissioni – ha rivelato il Pontefice -, è venuto a Roma, io ho detto ‘no, così non si gioca, perché questo è ammettere la incolpabilità previa’. Io ho respinto le dimissioni, Poi quando è stato nominato a Osorno è andato avanti questo movimento di protesta. Lui ha dato le dimissioni per la seconda volta. Ho detto ‘tu vai’, ho parlato a lungo con lui”. “Io continuo a fare l’indagine su Barros senza che ci sia un’evidenza. Questo ho voluto dire. Non oso condannare, perché non ho l’evidenza, ma io sono anche convinto che non c’è”. “Cosa sentono gi abusati? – ha aggiunto – Ecco, su questo devo chiedere scusa. Perché la parola ‘prova’ ha ferito tanti abusati. ‘Ecco, io devo andare a cercare la certifica di questo?’ La parola ha ferito e chiedo scusa loro se li ho feriti senza accorgermi, ma è una ferita senza volerlo. E a me questo fatto dispiace tanto, perché io li ricevo. In Cile ho ricevuto. Tanti altri in privato. In ogni viaggio c’è qualche possibilità. Due o tre sono stati pubblicati. So quanto soffrono. Sentire che gli dici in faccia, ‘portatemi una prova’, è uno schiaffo. E adesso io mi accorgo che la mia espressione non è stata felice, perché non pensavo quello. E capisco l’incendio che si è sollevato. Ma Barros resterà lì perché io non posso condannarlo se non ci sono evidenze”.

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