Voto all’estero: la Farnesina cerca di limitare disfunzioni e polemiche. Ma si pronuncia la Consulta
ROMA – Come ad ogni consultazione rinascono le polemiche per il voto degli italiani all’estero, fatto per corrispondenza e con modalità che secondo molti non offrono le dovute garanzie. Non si tratta di una questione di poco conto perché sono circa 4 milioni e 300 mila i connazionali con diritto di voto residenti fuori dai nostri confini, sparsi in 177 Paesi, a cui si aggiungono poco più di trentamila italiani temporaneamente all’estero, circa 700 mila elettori in più delle scorse politiche.
Il Rosatellum non ha introdotto novità: votano ancora per corrispondenza come prescritto dalla legge Tremaglia del 2001. Le schede arrivano a casa per posta, si vota indicando le preferenze – a differenza di quanto succede in Italia – e si rispediscono entro il 1° marzo alle 16 alle sedi diplomatiche. Che provvederanno a inviarle su 120 voli verso Castelnuovo di Porto, dove la Farnesina avrà terminato il suo compito: sarà la Corte d’Appello di Roma a garantire lo scrutinio in circa 1700 seggi. In palio per l’estero 12 deputati e 6 senatori: un bottino che in passato, in occasione di risultati incerti, ha fatto la differenza. Come nel 2006, quando a vincere per un soffio fu l’Unione di Romano Prodi (per arginare la dispersione di voti, stavolta i partiti della coalizione di centrodestra all’estero hanno fatto liste uniche). O, ancora, alle ultime consultazioni di cinque anni fa, i voti degli italiani fuori confine furono determinanti per giocarsi il titolo di partito più votato tra Pd e M5S.
Stavolta la Farnesina ha introdotto qualche accorgimento ulteriore, come i codici a barre per rendere tracciabile il percorso delle buste ed evitare doppi invii o furbetti che provano a votare due volte. Diplomatici in pianta stabile in tipografia per presidiare le schede. Carabinieri invitati ad assistere a varie fasi del procedimento di voto. Sono accorgimenti utili ma non incidono sul vulnus principale, dovuto al voto per corrispondenza. Votando per posta, infatti, non c’è modo di garantire che la croce sia stata tracciata da chi dovrebbe. Proprio su segretezza, libertà e personalità del voto si fonda il ricorso presentato da un consigliere regionale veneto e un italiano residente in Slovacchia al Tribunale di Venezia, che lo ha accolto e spedito dinanzi alla Corte Costituzionale. Che si pronuncerà proprio il 21 febbraio.