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Bardonecchia: la nuova rotta dei migranti indigesta ai francesi. Che li respingono in Italia

TORINO – Dicono che Annibale scelse le sue montagne per attraversare le Alpi con gli elefanti e mettere in ginocchio le legioni romane. Un racconto tra storia e leggenda che fa di Bardonecchia, l’ultimo comune italiano al confine con la Francia, in Alta Val Susa, una terra di passaggio.

Il suo nome, del resto, deriva da ‘Bardot’ o ‘Bard’, che in francese significano rispettivamente ‘muletto’ e ‘sella’, nel ricordo del commercio con i muli tra Italia e Francia. Di qui passa il traforo del Frejus, uno dei principali collegamenti transalpini. E sempre di qui correrà la discussa Torino-Lione.
Non è dunque difficile capire perché la località sciistica, tra le preferite dei torinesi per il fine settimana, sia diventata la nuova rotta dei migranti. Abbandonata la strada del mare, e di Ventimiglia, ogni giorno decine di profughi camminano in fila indiana lungo le strade che si inerpicano sulle vette, tra le case di villeggiatura e i prati che, d’inverno, neve e ghiaccio ricoprono di bianco.

Pochi chilometri per raggiungere Nevache e Briancon, e da lì l’Europa e il sogno di una nuova vita, che rischiano di essere anche gli ultimi. Per chi non viene intercettato dalla gendarmeria francese, è difficile sopravvivere in jeans e scarpe da ginnastica quando il termometro scende anche fino a quindici gradi sotto zero. C’è chi allora tenta di attraversare il confine lungo i binari della ferrovia, all’interno di quella galleria che per alcuni è diventata la tomba. Sono circa un migliaio dallo scorso dicembre i profughi soccorsi dall’associazione Rainbow4Africa. Arrivano da Uganda, Mali, Sudan, Niger, ognuno con il suo carico di speranza, pronti a sfidare qualunque rischio pur di raggiungere amici e parenti dall’altra parte delle montagne per ricominciare da capo. “Non partite a piedi, pericolo di vita”, si legge su alcune locandine affisse sulle pareti della stazione di Bardonecchia, accanto ai manifesti d’antan che promuovono la stazione sciistica con l’immagine di un bambino sci in spalla.
Il consiglio viene quasi sempre ignorato e i migranti, spesso a gruppi e di notte, si incamminano verso la Valle Stretta e il Colle della Scala, ignari del rischio di essere rispediti indietro dalla gendarmeria o, peggio ancora, di morire assiderati o scivolando in fondo ad un burrone.

Sempre qui in questa terra di confine e speranza, rotta dei migranti al gelo, una migrante nigeriana di 31 anni incinta e con un linfoma, è stata respinta circa un mese fa alla frontiera dalle autorità francesi per poi morire il 23 marzo scorso all’ospedale Sant’Anna di Torino dopo aver dato alla luce il figlio con un parto cesareo. Per un’altra migrante incinta soccorsa a Montgenevre una guida alpina ora rischia 5 anni di carcere perché avrebbe violato le leggi francesi sull’immigrazione.

E sempre a Bardonecchia è avvenuto l’ultimo fatto che ha causato una crisi politica e diplomatica fra l’Italia e la Francia, lo sconfinamento dei doganieri francesi per controllare un migrante sospettato di portare con sé droga. Esempio lampante di quale sia la filosofia dei due Paesi, da un lato controlli strettissimi e severi, dall’altro stanze messe a disposizione di associazioni benefiche che assistono tutti i migranti e cercano di convincerli a non passare il confine. Ma siamo sicuri che la scelta utile sia proprio la nostra? A lungo andare forse a qualcuno verrà qualche dubbio.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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