Grillini: vogliono colpire i vitalizi per incidere poi pesantemente sulle pensioni
L’accelerazione impressa al taglio dei vitalizi alla Camera dal M5S e in particolare dal nuovo presidente, Roberto fico, ha portato molti commentatori a immaginare che la stessa procedura (taglio drastico degli assegni) i grillini, appoggiati da un vasto schieramento che comprende parte della Lega, di FdI e del Pd, vorrebbero applicarla anche alle pensioni d’oro (sembra agli assegni superiori a 3.000 euro mensili, o forse a 5.000 ha precisato di recente Di Maio)
Ma quale sarebbe il vantaggio economico di un tale intervento, considerato dai proponenti una misura di equità? Riprendiamo in proposito un documentato e puntuale saggio di Franco Mostacci, ricercatore senior all’Istat, pubblicato sul sito online lavoce.info.
Mostacci ritiene che tale misura non garantirebbe una cifra tale da far migliorare in modo cospicuo i conti pubblici. Né sarebbe sufficiente per un’efficace politica redistributiva.
Il provvedimento si scontra con due ordini di problemi. Il primo è di natura giuridica, dovuto all’attuale normativa di rango costituzionale che impedisce di aggredire i cosiddetti “diritti acquisiti”; il secondo riguarda l’entità del possibile risparmio per le casse previdenziali.
Per sapere quanto può valere il loro taglio, bisogna prima definire cosa si intende per “pensioni d’oro” e in che modo si vuole intervenire. Gli ultimi dati resi disponibili da Inps e Istat – le fonti primarie di statistiche previdenziali – dicono che nel 2015 il 6,7 per cento del totale dei pensionati (poco più di 1 milione di individui) ha ricevuto un assegno mensile superiore ai 3 mila euro lordi (il valore medio è di 4.354 euro mensili lordi per 12 mensilità) e sono costati 54,8 miliardi di euro (il 20 per cento della spesa pensionistica totale).
Per analizzare più in dettaglio le classi di reddito più elevate Mostacci ha fatto riferimento alle statistiche sulle denunce dei redditi per l’anno 2015.
I pensionati che hanno un reddito complessivo superiore ai 100 mila euro erano 123.869, con un reddito totale di 20 miliardi di euro (il reddito medio è di 162 mila euro). I più ricchi, quelli con un reddito annuale superiore ai 300 mila euro, erano 7.884 (il reddito medio è di 542 mila euro). La pensione incide mediamente per il 40 per cento del reddito totale, ma per i più ricchi è appena il 13 per cento delle entrate complessive.
Se si ipotizza di fissare un tetto massimo mensile di 5 mila euro lordi per l’assegno pensionistico, tagliando l’eccedenza ai pensionati che hanno un reddito complessivo superiore ai 100 mila euro, si otterrebbe un risparmio stimabile in 490 milioni di euro. Si deve, però, considerare che per lo Stato verrebbe meno, in questo modo, una parte della tassazione Irpef, per cui il risparmio netto si riduce a 280 milioni di euro, poco più dell’1 per cento della manovra di bilancio approvata a dicembre 2017.
Modificando l’entità del taglio e, di conseguenza, il numero di beneficiari di pensione che ne risulterebbero coinvolti, si potrebbe conseguire un maggiore o un minore risparmio. Ma neppure in tal modo il taglio delle pensioni d’oro. lo ripetiamo per chi non lo avesse ancora capito, garantirebbe una cifra tale da dare respiro ai conti pubblici, né sarebbe sufficiente per un’efficace politica redistributiva. Oltre a perpetuare l’ingiustizia, e il vero e proprio latrocinio, che verrebbe perpetrato ai danni di persone che hanno versato contributi e tasse altissime per tutta una vita lavorativa e che verrebbero defraudate di quanto loro spetta per beneficiare chi non ha mai lavorato o non ha versato contributi sufficienti, vista l’enorme mole dell’evasione contributiva, non frenata da Boeri, presidente Inps.