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Cittadinanza e ius soli: le regole in Francia, Germania e Inghilterra. Il rischio banlieue

Per la lente odierna ho scelto di pubblicare un brano di un’interessante ricerca su un tema di attualità: «Banlieue tra emarginazione e integrazione per una nuova identità» di Pier Paolo Piscopo ediz. Il Formichiere, Foligno 2018.

Nel testo si realizza un esame attento e documentato della posizione, e della legislazione, approvata dall’Italia e da altri tre Stati europei in merito al problema dell’immigrazione e dell’integrazione, mettendo a confronto il nostro Paese con Stati sicuramente più abituati all’ingresso e all’integrazione (spesso fallita) d’immigrati rispetto all’Italia, e cioè Francia, Regno Unito e Germania.

«FranciaPer quanto riguarda la naturalizzazione e l’acquisizione per nascita e francese il figlio, legittimo o naturale, nato in Francia, quando almeno uno dei due genitori vi sia nato; qualunque sia la sua cittadinanza; ogni bambino nato in Francia da genitori stranieri acquisisce automaticamente la cittadinanza al momento della maggiore eta se, a quella data, ha la propria residenza in Francia o vi ha avuto la propria residenza abituale durante un periodo, continuo o discontinuo, di almeno cinque anni dall’età di 11 anni in poi. La cittadinanza francese e aperta, con dichiarazione da sottoscrivere dinanzi all’autorità competente, a qualunque straniero che contragga matrimonio con un cittadino francese dopo quattro anni dal matrimonio.

La naturalizzazione, per decisione dell’autorità pubblica, può essere concessa solo allo straniero maggiorenne che dimostri la propria residenza abituale in Francia nei cinque anni precedenti la sua domanda, salvo che egli non abbia compiuto e ultimato due anni di studi in un istituto di istruzione universitaria francese o non abbia reso importanti servizi allo Stato, nel qual caso il criterio della residenza viene ridotto a due anni.

La Francia calcola circa 29mila espulsi ogni anno, contando l’11% di immigrati, una cifra nella media europea, ma quello che sorprende e che sia l’unico Paese ad avere più discendenti che immigrati, vale a dire che le seconde generazioni sono più numerose dei loro genitori; ciò e imputato alla politica sociale francese atta a favorire il sistema familiare, tramite ricongiungimenti e assegni di sussidio.

Gli stranieri o le persone di origine straniera, anche se hanno una posizione meno qualificata dei francesi d’origine e un livello di studio piu basso, tenendo conto della situazione economica della loro famiglia, secondo lo scenario INSEE (Institut national de la statistique et des études économiques), hanno una mobilita sociale maggiore rispetto ai loro genitori. A riprova di un certo funzionamento della mobilita sociale si può osservare questo: il livello di vita medio degli immigrati e inferiore del 30% a quello della vita media d’un francese d’origine, ma questo scarto si riduce al 12% per i discendenti di immigrati. Gli stranieri che risiedono legalmente in Francia: 2 milioni dai Paesi dell’Europa (gli italiani sono piu di 700mila); gli algerini (750mila), marocchini (650mila), tunisini (250mila) e dal resto dell’Africa (800mila), poi ci sono turchi (200mila), cinesi (90mila), resto dell’Asia (500mila) (Segapeli 2008).

La media, tra il 2005 e il 2010, dei titoli di soggiorno consegnati, viene calcolata sui 190mila l’anno, eccetto gli studenti (circa 60mila nel 2010), la migrazione familiare sugli 85mila e circa 10mila sono rifugiati. S’insediano in Francia attraverso un Contrat d’accueil et d’ intégration (CAI). Il Permesso è maggiormente concesso per ricongiungimento famigliare (73%). Meno di un titolo su dieci è invece accordato per motivi professionali.

Gran BretagnaLa Gran Bretagna ha una storia simile a quella francese: deriva la sua politica d’immigrazione dalla sua storia coloniale e dalla successiva decolonizzazione. Il primo e più importante aspetto di questa politica, che però la differenzia dalla Francia, riguarda il modello di incorporazione, nella società, degli stranieri. Il modello comunitario, difatti, riconosce le diversità culturali e segue il diritto delle pari opportunità (race equality): in UK è un monito per la società non discutibile e che condanna, con il corpus di leggi Race Relations Acts (rese leggi nel 1976), ogni atto discriminatorio in luoghi pubblici, ambienti di lavoro e d’accesso ai servizi. Dal 1976 il corpus prevede una “discriminazione indiretta” che si manifesta quando un trattamento equo dal punto di vista puramente formale si traduce in trattamento differenziale ai danni di un gruppo determinato. Il bambino che nasce su territorio britannico, anche da un solo genitore già in possesso della cittadinanza britannica è automaticamente cittadino (Immigration Act del 1971). Un figlio di genitori stranieri può fare domanda di “naturalizzazione”, ma prima del compimento della maggiore eta e se ha vissuto nel Regno Unito per i primi dieci anni dopo la nascita. La cittadinanza si acquisisce anche in seguito a tre anni di matrimonio con un cittadino britannico; in tal caso si deve aver vissuto con permesso di soggiorno per almeno tre anni.

Germania – Per lungo tempo ha negato di essere un Paese d’immigrazione, dove vigeva un modello di “esclusione differenziale”, trattando le persone migranti con un turnover dei lavoratori e incoraggiandone il ritorno in patria. I migranti erano “lavoratori ospiti” (Gastarbeiter): la formula fu creata per colmare la necessita di manodopera, evitare lo stanziamento e il formarsi di comunita etniche. La Germania con il welfare, dai tempi di Bismarck, più antico d’Europa, si autodefiniva come una comunità nella quale essere cittadini era una questione etnica di discendenza. I cittadini di stranieri, insediati con i ricongiungimenti e le G2, furono per lungo tempo chiamati dalla stampa: “I nostri concittadini stranieri” (Unsere ausländische mitbürger).

Solamente all’inizio degli anni novanta l’attenzione sui migranti divento piu concreta. Ora, per avere la cittadinanza si deve risiedere da almeno otto anni nella nazione, e richiesto l’abbandono della propria nazionalità d’origine e non è contemplato lo Ius soli puro, a meno che uno dei genitori non risieda da almeno otto anni sul suolo tedesco e abbia regolare permesso di soggiorno da tre. I disoccupati dei diciassette Stati che ratificarono, nel 1953, la Convenzione europea di assistenza sociale, hanno diritto a incassare, dopo sei mesi di lavoro, le prestazioni sociali previste dalla riforma Hartz IV.

L’immigrazione in Italia oggi presenta, come negli altri Paesi, il problema delle seconde generazioni, le quali iniziano a rivendicare il pieno diritto di sentirsi cittadini italiani. In questo momento si puo acquisire la cittadinanza italiana per “filiazione”, matrimonio o naturalizzazione: i figli di immigrati possono diventare automaticamente cittadini Italiani, se al momento del passaggio di cittadinanza del genitore sono minorenni.

I figli di immigrati che sono nati in Italia, non sono automaticamente italiani, possono fare domanda per ottenere la cittadinanza italiana dopo aver compiuto diciotto anni (se hanno sempre risieduto in Italia), ma prima del diciannovesimo anno di eta. Oppure si può ottenere la cittadinanza se coniugi di cittadini italiani, si risiede in Italia da almeno due anni dal giorno del matrimonio, oppure tre se risiede all’estero; i tempi si dimezzano in caso di figli.

Gli stranieri residenti in Italia, infine, possono fare domanda per ottenere la cittadinanza solo se risiedono, legalmente con permesso di soggiorno, in Italia da almeno dieci anni (cinque se sono rifugiati politici) e se soddisfano determinati criteri economici».

Aggiungo che da tempo si discute e si polemizza in Italia, grazie ad alcuni interventi a gamba tesa della Chiesa cattolica e della sinistra estrema, entrambe favorevoli all’introduzione del nuovo regime dello ius soli. Che è sostenuto dalle gerarchie ecclesiastiche, da una parte del Pd e dall’associazionismo cattolico e di sinistra.

Il governo Gentiloni aveva già escluso l’approvazione della legge nel corso della passata legislatura, mentre sembra che in quella attuale ancora non si sia in grado di affrontare il problema. Maiora premunt, a meno che non intervengano le consuete interferenze a gamba tesa della Chiesa cattolica per bocca di Mons. Nunzio Galantino, segretario della Cei, o addirittura direttamente di papa Francesco, com’è avvenuto in passato.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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