Il piano europeo per gli hotspot è una bufala. L’Italia lo rifiuta, ma è disponibile a discutere
Un piano senza dettagli né tempi di realizzazione, per portare i migranti salvati in mare non in Italia, Grecia o Spagna, ma in campi o hot spot da istituire in Africa del Nord o anche, nelle intenzioni di paesi come Austria o Danimarca, in Albania o Kosovo. Un piano talmente difficile e lontano da realizzare, da apparire come una beffa se unito alla linea dura sul no alla riforma di Dublino e la chiusura delle frontiere interne dell’Unione che sarebbe la fine di Schengen. Questo emerge dalla bozza di conclusioni che circola nelle cancellerie UE per il Vertice europeo del 28-29 giugno. Nel testo si parla di piattaforme di sbarco regionali gestite da UE e Onu per vagliare le domande di asilo prima dell’ingresso in Europa. Proposta messa a punto dai presidenti della Commissione e del Consiglio europei, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk, ora sul tavolo dei premier e capi di Stato dei 28 per modifiche.
Se n’è parlato ieri in una girandola di incontri: a Berlino tra la Merkel e Emmanuel Macron, a Vienna tra Antonio Tajani e il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, a Bruxelles tra il Commissario UE agli Affari interni, Dimitris Avramopoulos, e i ministri degli Interni dei Balcani. E oggi Tusk volerà a Roma. Nella bozza per il vertice di fine mese il Consiglio UE «sostiene lo sviluppo del concetto di piattaforme di sbarco regionali, in stretta collaborazione con l’Alto commissariato per i rifugiati (l’Unhcr) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim)». L’Unhcr fa sapere che grazie all’Europa è quasi pronto il «centro di transito a Tripoli per quasi mille persone».
L’idea della bozza riguarderebbe campi di smistamento nei quali vagliare le richieste di asilo in Africa del Nord, perlopiù in Tunisia e Libia, compatibilmente con le condizioni di sicurezza. Campi destinati a «quanti prendono la via del mare e sono salvati nel corso di operazioni di ricerca e salvataggio». In pratica, i migranti soccorsi verrebbero trasferiti in questi campi fuori dalla UE, e qui le autorità europee con i funzionari dell’Onu attuerebbero «un rapido trattamento per distinguere tra i migranti economici e quanti necessitano di protezione, riducendo così l’incentivo a imbarcarsi per viaggi pericolosi». Eventuali campi, precisa a Vienna il presidente dell’Europarlamento Tajani, sarebbero «non di concentramento, ma dove ci siano medici, medicine, vengano rispettati i diritti umani e non ci siano violenze sulle donne». Certo però che «senza una risposta politica forte del Consiglio UE a fine giugno sulle questioni migratorie, si mette in pericolo l’esistenza stessa dell’Unione Europea», aggiunge. La soluzione stabile può venire solo da massicci investimenti in Africa, secondo Tajani che presto andrà anche in Libia.
Nella bozza di conclusioni c’è pure una dichiarazione di sostegno alla politica italiana per stabilizzare la Libia e contrastare i trafficanti di esseri umani, frenando così i flussi di migranti nel Mediterraneo centrale. «L’UE rafforzerà -si legge – il sostegno alla Guardia costiera libica, alle comunità costiere e del Sud, per condizioni umane di accoglienza e rimpatri umanitari volontari». Lo stallo invece è totale sulla riforma del Trattato di Dublino, non una sola parola nel testo. Prevale, anzi, la linea opposta alle richieste di Italia e Grecia. Nella bozza, infatti, c’è una parte sui cosiddetti movimenti secondari di migranti che, tradotta, sta per respingimenti alle frontiere dei singoli Stati UE degli aspiranti rifugiati già registrati nei paesi di primo approdo. Roma e Atene chiedevano invece che tutti i 28 si facessero carico di quote di migranti da accogliere secondo un piano equo di distribuzione. Nette le conclusioni del vertice Merkel-Macron, ma anche la bozza europea: i movimenti secondari «mettono a grave rischio l’integrità del sistema di asilo… Vanno bloccati». Sarebbe la fine di Schengen.
Le proteste dell’Italia e la dichiarazione di Conte, che ha rifiutato di partecipare al pre-vertice organizzato dal presidente della Commissione Ue Juncker, hanno ricondotto a più miti consigli Francia e Germania, tanto che la cancelliera Merkel ha voluto assicurare i nostro premier che il progetto è accantonato e che verranno ascoltate le ragioni di Italia e Grecia. Ma è meglio non fidarsi, ormai tante volte Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni per limitarsi agli ultimi premier- sono stati messi nel sacco dall’accoppiata franco-tedesca, che non rinuncia a dettar legge in Europa, come accade fin da tempi di De Gaulle e Adenauer. Comunque Conte non si tira indietro e porterà alla riunione alcune proposte dell’Italia, in particolare, l’istituzione di Centri di protezione europei nei Paesi di origine e transito per la valutazione del diritto di asilo; incremento dei rapporti con i Paesi terzi per fermare i traffici di morte; rafforzamento delle frontiere.
I dati del Viminale intanto confermano che la maggior parte di coloro che sbarcano in Italia sono migranti economici e non hanno diritto alla protezione internazionale. Le domande d’asilo presentate negli ultimi 13 anni in tutto, sono state 610.808, ma solo il 7% ha visto riconosciuto lo status di rifugiato, il 13% la protezione sussidiaria, 1126% la protezione umanitaria. I no, i cosiddetti dinieghi, sono stati oltre 254mila, pari al 54% del totale. Medie sostanzialmente analoghe sono state registrate anche nei primi sei mesi dell’anno. Le pratiche da trattare al 15 giugno erano in tutto 133.815. Secondo l’Ismu, tra gennaio e maggio 2018 le richieste di asilo hanno registrato una diminuzione del 52%: le domande presentate sono state 28mila, contro le quasi 60mila nello stesso periodo del 2017. Lo status di rifugiato è concesso soprattutto a donne e minori. I dati del 2017 consentono di individuare alcune caratteristiche dei rifugiati: rispetto alla media, lo status di rifugiato registra un valore più alto tra le donne (25%), trai minori di 13 anni (36%) e tra gli ultrasessantacinquenni (34%, anche se in numero assoluto si tratta di soli 90 casi). Relativamente alle nazionalità, lo status di rifugiato è concesso soprattutto a siriani (93%), somali (37%), eritrei (26%) e iracheni (25%).