Macron: a un anno dall’elezione precipita la fiducia (44%) e l’indice di gradimento dei francesi
PARIGI – Un anno è passato, e l”ottimismo è andato in frantumi: 12 mesi dopo aver fatto sparire come per magia pessimismo, depressione e senso del declino, Emmanuel Macron si ritrova con i francesi di prima. Ha provato a rilanciarsi con oltre un’ora e mezzo di discorso dopo aver riunito deputati e senatori in Congresso a Versailles. Ma l’impresa appare ardua.
Un sondaggio Ipsos pubblicato da Le Monde, mostra che i francesi sono tornati pessimisti: il 70% pensa che il paese sia in declino, la percentuale di chi è convinto che la Francia sia piena di opportunità e di nuove possibilità è crollata in un anno dal 53 al 44%. E fra i giovani – fra 18 e 35 anni – quasi la metà (46%) pensano che altri sistemi potrebbero funzionare meglio della democrazia.
Una dopo l’altra, Macron ha provato a smontare le accuse: quella di essere il presidente dei ricchi, che gli arriva da sinistra, quella di esporre la Francia ai migranti, che gli arriva da destra, quella di voler accentrare il potere come un monarca, che gli fanno un po’ tutti. Ma soprattutto ha voluto
sottolineare che le riforme si faranno tutte, ognuna a suo tempo, e qualcuna magari resterà fuori: «non riesco a fare tutto», ha ammesso in uno slancio di modestia. Addirittura di umiltà: «so che non posso riuscire in tutto e so che non riuscirò in tutto – ha detto – il mio dovere e di non mollare
mai e di condurre la mia battaglia senza tregua. Tutti i presidenti conoscono il dubbio, io non faccio eccezione. Se si è realisti, si pratica l’umiltà. Ma per se stessi, non per la Francia».
La Francia, secondo lui, deve inseguire soltanto un’ideologia, «quella della grandeur. E qualcuno ci si dovrà abituare». Ma la Francia che vuole costruire è una Francia che ancora non si vede: “non ho dimenticato nulla delle paure e della rabbia accumulate per anni…non spariscono in un giorno, non sono scomparse in un anno. Ma la trasformazione già iniziata in quest’anno, si vede nel paese, anche se la grande ambizione è un”altra: «dobbiamo costruire lo Stato provvidenza del XXI secolo. Uno stato provvidenza emancipatore, universale, efficace e responsabilizzante, un nuovo contratto sociale. E’ vero che tutti devono essere difesi, ma ognuno deve avere il suo ruolo nella società».
In quest’ottica, l’annuncio che l’atteso piano povertà sarà pronto in autunno e attuato nel 2019: «c’è una Francia delle diseguaglianze, non quelle di reddito, ma quelle che, a seconda del luogo in cui sei nato, della tua famiglia, secondo dove sei cresciuto e la scuola che hai frequentato, sono cresciute nel paese. La missione non è quindi aiutare la gente a vivere meglio nelle condizioni in cui è nata e destinata a rimanere, ma a uscirne. Io non amo le caste, né le rendite, né i privilegi. Ma se si vuole dividere una torta, la prima condizione è che una torta ci sia».
C’è stato spazio per la sua visione dell’Europa, «la frontiera è ormai fra progressisti e nazionalisti e migranti, un tema che non può essere risolto con le emozioni, che creano confusione, con la chiusura o il ripiego nazionalista: mai – ha concluso – la Francia accetterà soluzioni facili che propone qualcuno, organizzare delle deportazioni, attraverso l’Europa, per andare a mettere in questo o quel campo, alle sue frontiere o al suo interno, o altrove, gli stranieri non ammessi in
Francia». In polemica con le tesi di le Pen e di Salvini.