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Dl dignità: Confindustria all’attacco. «Va corretto, gli effetti peggiori delle stime»

IndustriaROMA – Polemiche roventi sul Decreto dignità. Così come ogni mossa di questo governo deve essere poi sottoposta a revisione perchè fuori misura. Confindustria va alla’attacco. Il decreto dignità pur perseguendo obiettivi condivisibili rende più incerto e imprevedibile il quadro delle regole per le imprese disincentivando gli investimenti e limitando la crescita. Lo dice il dg di Confindustria, Marcella Panucci, in audizione alla Camera. Per le imprese occorre «evitare brusche retromarce sui processi di riforma avviati e vanno approvati alcuni correttivi, che intervengano sulle causali per i contratti a termine e sulle norme ora punitive e poco chiare sulle delocalizzazioni».

Il ritorno delle causali, esponendo le imprese «all’imprevedibilità di un’eventuale contenzioso, finisce nei fatti per limitare a 12 mesi la durata ordinaria del contratto a tempo determinato, generando potenziali effetti negativi sull’occupazione oltre quelli stimati nella Relazione tecnica al decreto (in cui si fa riferimento a un abbassamento della durata da 36 a 24 mesi)». Così il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci in audizione sul Dl Dignità chiedendo modifiche ad una disciplina pregiudizievole per il mercato del lavoro.

«La sola abolizione dei voucher sembrerebbe spiegare una quota consistente, attorno al 15%, dell’aumento del lavoro a termine intervenuto dal 2° trimestre 2017». Lo ha detto il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci in audizione sul decreto dignità davanti alle commissioni Lavoro e Finanze della Camera sottolineando che non va imputata allo strumento del contratto a termine la precarizzazione del mercato del lavoro ma a molteplici fattori, sia economici sia normativi a partire appunto dallo stop ai voucher, da un aumento fisiologico in una fase di ripresa economica del suo utilizzo, al cambiamento dei settori, (100 mila su 500mila in più secondo l’Arel sono attribuibili ai servizi, commercio e servizi alla persona). I dati, insomma, «non sembrano supportare la preoccupazione di un aumento della precarietà del lavoro legata a comportamenti opportunistici da parte delle imprese. Al contrario, la quota di aumento del lavoro temporaneo spiegato dalla corrispondente riduzione di collaborazioni e lavoro accessorio è verosimilmente associata a una diminuzione della precarietà».

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