Rifugiati: l’Oim, intesa Ue – Turchia funziona. Ma l’Europa non si muove per aiutare l’Italia
ISTANBUL – L’Organizzazione mondiale per l’immigrazione, ente collegato all’Onu, ha esaminato a lungo i benefici effetti dell’accordo Ue -Turchia in termini di accoglienza in Turchia da un lato e di blocco degli arrivi in Europa attraverso i Balcani dall’altro.
«La Turchia ha il più alto numero di rifugiati registrati al mondo in termini assoluti, quasi 4
milioni. È come uno Stato nello Stato. E per affrontare questa situazione, è necessario mettere insieme risorse finanziarie e umanitarie. In questo contesto, l’impatto dell’accordo Ue-Turchia sui migranti è stato piuttosto positivo. L’Unione Europea ha capito che si tratta di un problema molto complesso, che non può essere risolto in un anno».
Mentre Bruxelles si prepara a dare il via libera alla seconda tranche da 3 miliardi di euro per l”intesa siglata con Ankara nel 2016, Lado Gvilava, capo missione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) in Turchia, traccia in un’intervista all’ANSA il bilancio della fase 1.
«Ci sono diverse stime su quanto la Turchia abbia speso per affrontare questa crisi. Dall’esplosione nel 2011, ha investito ufficialmente più di 30 miliardi di dollari. Certamente i 6 miliardi di euro impegnati finora dall’Ue non possono essere sufficienti. Ma i progetti avviati con la prima tranche – spiega – hanno avuto un impatto significativo sul campo, hanno salvato molte vite e migliorato la situazione della comunità ospitante e dei rifugiati».
Secondo il governo di Ankara, i migranti riportati in Turchia dalla Grecia nell’ambito dell’accordo – una pratica fortemente stigmatizzata dalle ong – sono finora 1.783, di cui oltre metà pachistani e siriani. «L’Oim non ha mai sostenuto lo schema uno a uno (un ricollocamento nell’Ue per ogni migrante irregolare rimandato in Turchia, ndr). Queste persone vengono messe in centri a cui abbiamo accesso solo con l’autorizzazione del governo. Non è un processo che possiamo controllare», dice Gvilava.
Per lui sono anche insufficienti i reinsediamenti, che dall’avvio dell’accordo sono circa 25 mila: «I progetti riguardano i 28 Paesi Ue più gli Usa, e poi Canada e Australia. Ma globalmente viene coinvolta solo l’1% della popolazione richiedente, scelta sulla base di criteri di vulnerabilità».
Superata l’emergenza, secondo Gvilava la sfida sta nel dare un futuro ai siriani. «Spesso siamo costretti ad agire come pompieri di fronte a un incendio: forniamo acqua potabile, materassi, aiuti di base – spiega -. Per un investimento di lungo termine servono molte più risorse, ma l’impatto è molto più forte, perché dopo i migranti non dipenderanno più dagli aiuti umanitari».
Ue e Oim hanno impegnato, soprattutto la Ue, risorse finanziarie ingenti per bloccare i flussi in arrivo dall’Africa prima che sbarchino sul territorio europeo. L’Italia è stata a lungo tempo il porto d’approdo per tutti i disperati, in minima parte rifugiati, provenienti da tutta l’Africa, ma la ue e l’Oim hanno fatto praticamente orecchi da mercante, anzi adesso fanno la faccia feroce col Governo gialloverde, che si è trovato a gestire le conseguenze delle aperture indiscriminate delle gestioni Renzi-Gentiloni. E noi ne paghiamo le conseguenze.