Battisti nel carcere di Oristano, ma infuria la polemica politica. L’estrema sinistra lo vuole libero
Ho voluto attendere qualche giorno, aspettare che Battisti finisse finalmente in galera, per commentare il grande can can che si è fatto sul suo ritorno in Italia. Che è stato un successo in primo luogo degli investigatori e della magistratura, in secondo luogo, inutile disconoscerlo, del Governo, anche se le sinistre sminuiscono il tutto, ricordando che anche i governi di sinistra avevano agito (sì ma senza alcun risultato).
Mattia Feltri, in un interessante e documentato articolo sulla Stampa ricorda quanto ha scritto Giuliano Ferrara su Twitter «Cesare Battisti, una vergogna nazionale multipla» , ed è la prima di due cose sagge dette nell’occasione del rientro del terrorista dei Pac. E ricorda che il gruppuscolo di Battisti, i Proletari armati per il comunismo, fra altri crimini, il 16 febbraio del ’79 ammazzò a Milano il gioielliere Pier Luigi Torregiani. Gli spararono alle spalle (e rimase paralizzato Alberto, il figlio) perché aveva resistito a una precedente rapina, e cioè aveva osato reagire all’esproprio proletario propedeutico all’insurrezione. E’ soltanto uno dei quattro omicidi del gruppo, una testimonianza efficace di quei tempi percorsi da bande violente, di destra e di sinistra, su cui prima, durante e dopo è spessissimo calata l’attenuante romantica e specifica della gioventù che spara per un mondo migliore.
C’era anche questo sentimento nella dottrina Mitterrand che ha garantito protezione ai terroristi riparati in Francia, purché dichiarassero estinta la lotta armata e non fossero responsabili di fatti di sangue. Si intendeva proteggere da condanne per reati d’opinione e si finì con l’asilo concesso a Battisti, evaso nel 1981 dal carcere di Frosinone, fuggito in Francia, poi un decennio in Messico, all’inizio degli Anni Novanta di nuovo a Parigi.
Ricorda Feltri che, quando il ministro guardasigilli Roberto Castelli (Lega), dopo anni di oblio dei governi precedenti di centrosinistra, scosse lo Stato dal suo torpore e pretese la restituzione di Battisti, subito la politica e la società dell’epoca eressero barricate contro il governo Berlusconi, «animato da spirito di vendetta contro un rivoluzionario», come disse lo scrittore e filosofo Philippe Solliers. In Francia si dette credito alle tesi di Battisti: vogliono la sua testa le camicie nere, scrisse «Libération»; il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoé, oppose istituzione a istituzione dichiarando l’ospite sotto la tutela della capitale; e quando soltanto un mese dopo Battisti venne liberato in attesa del risultato dei ricorsi, la giallista Fred Vargas lo ospitò a casa e gli garantì un’assistenza legale all’altezza della causa. Quando i ricorsi furono respinti, il condannato era sparito sotto gli occhi di tutti, compreso il ministro dell’Interno dell’epoca ( era presidente Jacques Chirac): Nicolas Sarkozy.
Battisti raccontò che s’era fatto un bel giretto: in auto dalla Francia alla Spagna, da lì a Lisbona, poi in volo a Madeira, di nuovo in volo alla Canarie, quindi Capo Verde, infine Fortaleza in Brasile. E spiegò alla rivista brasiliana «Istoé»: «L’idea della mia fuga fu di un agente dei servizi segreti francesi». L’idea e anche il passaporto, disse Battisti.
La lunga storia delle protezioni di Battisti prosegue anche in Brasile negli anni di Lula, l’operaio presidente diventato uno dei tanti eroi internazionalisti della sinistra italiana, da cui i governi dell’epoca ottennero qualche promessa e altrettante prese per il naso. Circolano ancora le foto degli abbracci ci Lula con Renzi, Gentiloni e la Boldrini.
Poi improvvisamente tutto cambia, il compagno Lula finisce in prigione, in Brasile cambia il governo e anche in Italia si respira un’altra aria. Il successore di Lula, Jair Bolsonaro, regala Battisti all’Italia, il fuggiasco viene rintracciato in Bolivia, rientra a Ciampino come una star, fra flash di fotografi e attesa spasmodica di ministri. Adesso che Battisti è in carcere e ha perso il ghigno sarcastico che aveva mantenuto finora, si possono trarre molte considerazioni.
Da un lato (Ministri all’aeroporto, Santanché, La Russa) si è esagerato con la spettacolarizzazione dell’evento, in parte giustificata dal fatto di un traguardo raggiunto dopo 38 anni, ma dall’altra ci sono state e continuano vergognose manifestazioni di solidarietà con un soggetto che, fino a prova contraria, è stato condannato in via defin itiva per 4 omicidi. Senza tralasciare la considerazione che molti forse temono che Battisti parli di chissà quali legami, come ha detto il fratello in un’intervista, dichiarando che se Cesare parla scoppia la politica.
La sinistra estrema chiede subito l’amnistia, mentre i centri sociali, in varie città, hanno esposto striscioni di solidarietà. Ma l’intervento più sconcertante, che ha giustificato la reazione dura di Alberto Torregiani, vittima di uno degli assalti dei Pac, è stato quello – in tv – di Piero Sansonetti, ex direttore de l’Unità: «È giusto condannare una persona dopo quarant’anni dal delitto presunto che avrebbe commesso? Inoltre, siamo sicuri che sia colpevole? Io no. I processi sono stati svolti tutti senza prove, sulla base delle testimonianze di alcuni pentiti. Io non sono affatto certo che Battisti sia colpevole, perciò non capisco quesa caccia al cinghiale, al mostro: un meccanismo ricorrente nelle società moderne ma dal quale speravo che l’Italia fosse esente». Mi sia permessa una domanda retorica, che ritenmgo legittima. Ma non era la sinistra che affermava sempre che le sentenze si rispettano? Si,ma solo quelle che riguardano gli avversari politici, quelle che riguardano gli amici si possono e si debbono contestare aspramente. La solita doppia morale di quella parte politica.