Strasburgo: La Cedu condanna l’Italia per il carcere a Sallusti. Per l’eccesso della condanna pagano i contribuenti
STRASBURGO – Alessandro Sallusti vince la causa sulla condanna al carcere per diffamazione. La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla libertà d’espressione del direttore del Giornale, all’epoca dei fatti alla guida di Libero: pur riconoscendo la giustezza della condanna i giudici hanno ritenuto la pena detentiva «manifestamente sproporzionata». Nella sentenza della Cedu i giudici hanno riconosciuto a Sallusti 12 mila euro per danni morali (lui ne aveva chiesti 100 mila), hanno ribadito la giustezza della condanna del direttore per diffamazione, ma hanno considerato che questa non avrebbe dovuto tradursi in una pena da scontare in carcere. Da qui la violazione del suo diritto alla libertà d’espressione.
Un altro eccesso della magistratura, dovuto anche all’interpretazione delle leggi in vigore, ritenuto sproporzionato dalla Corte di Strasburgo, per il quale l’Italia dovrà dare un risarcimento. E pagherà lo Stato, ovvero i cittadini, ovvero noi contribuenti per una pronuncia delle toghe, che non pagano mai di tasca loro.
Commenta così la FNSI: «La sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani per la violazione della libertà di espressione rafforza la campagna “No tagli, No bavagli” avviata dalla Federazione nazionale della Stampa italiana e la battaglia per la cancellazione del reato di diffamazione a mezzo stampa che il sindacato dei giornalisti porta avanti da tempo». Lo affermano, in una nota, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della FNSI. «Il risarcimento che la Corte ha riconosciuto ad Alessandro Sallusti per essere stato condannato ad una pena detentiva – proseguono – rappresenta un atto di messa in mora del Parlamento e del Governo italiani che continuano ad ignorare tutte le proposte di legge tese a depenalizzare la diffamazione e a contrastare le querele bavaglio, ormai diventate la forma più diffusa di minaccia ai cronisti e alla libertà di stampa. Cancellare il carcere non significa, infatti, riconoscere ai giornalisti una sorta di impunità. La diffamazione va sanzionata, ma il carcere, come nel caso di Sallusti, è incompatibile con la libertà di espressione e con l’articolo 21 della Costituzione». Naturalmente i poco coraggiosi giornalisti si guardano bene dal criticare l’operato dei giudici, intoccabili.