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Manifestazioni di stampo fascista: occorre far chiarezza e non lasciare spazio solo alle grida delle opposte fazioni

L’annosa questione dello scioglimento dei movimenti che potrebbero portare alla ricostituzione del partito fascista, cavallo di battaglia delle sinistre tipo Enrico Rossi e Laura Boldrini, ritorna periodicamente all’attenzione dell’opinione pubblica. Tanto che in Toscana la Regione del Rossi presidente ha promosso l’anagrafe nazionale antifascista di di Stazzema.

Ma la questione è più seria e complicata, va affrontata finalmente e seriamente dalla politica senza slogan, ed è necessario che una nuova legge integri le disposizioni delle leggi Scelba e Mancino, indicando con precisione quali siano i casi nei quali si può individuare la fattispecie in esame. Sottraendo così la valutazione all’amplissima discrezionalità dei magistrati e indirizzando le dichiarazioni e le richieste urlate di certa politica che non contesta la magistratura, ma governo, prefetti e questori se non intervengono per vietare manifestazioni che gli oppositori individuano chiaramente come espressione del risorgente fascismo.

In realtà la sinistra, quando ha avuto, per molto tempo, il Governo nelle sue mani e la maggioranza in parlamento, non è riuscita a cavare un ragno dal buco. Ci aveva provato il deputato Pd Emanuele Fiano nel 2017, quando la Camera dei deputati aveva approvato la proposta di legge da lui presentata. Ma il termine della legislatura, con lo scioglimento delle Camere nel dicembre 2017, ha messo fine alla discussione della legge in Senato.
La legge introduceva nel codice penale un nuovo articolo, il 293-bis, che puniva «chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco». Sostanzialmente si vietava la possibilità di fare il saluto romano, di vendere oggetti che raffigurano Adolf Hitler o Benito Mussolini, o slogan e simboli chiaramente riferibili ai due dittatori o ai loro regimi. Il disegno di legge specificava infatti che il reato era punibile anche se commesso solo «attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità». Le pene previste andavano dai sei mesi ai due anni, e venivano aumentate di un terzo se il reato fosse stato commesso su Internet.

Ma la cronica incapacità del Pd e delle sinistre di far approvare leggi simbolo (questa e il conflitto d’interessi, ad esempio) ha impedito che finalmente si facesse chiarezza e si desse a magistrati, prefetti e questori indicazioni meno evasive per intervenire adeguatamente.

A Milano, Varese e Prato, manifestazioni dello stesso tenore hanno ricevuto trattamenti dissimili. Questo perché, e lo devo testimoniare con l’esperienza di oltre 40 anni di governo delle prefetture in tutt’Italia, il prefetto e le autorità di sicurezza possono intervenire per vietare manifestazioni chiaramente di spirito contrario alla costituzione, ma non fare un processo alle intenzioni, come fanno spesso i politici per ragioni di convenienza. Ecco che prefetti e questori sono saliti sul banco degli imputati per aver permesso alcune manifestazioni, considerate di stampo fascista dalla politica locale. Perciò è necessario che la politica stessa si dia una regolata, stabilisca ipotesi certe da valutare sia dai prefetti e questori, in via amministrativa e preventiva, sia dai magistrati, in sede penale.

Ecco un florilegio di decisioni della magistratura, dalle Alpi alle piramidi, di segno diametralmente opposto. Iniziamo con l’ultima alla quale abbiamo dedicato proprio ieri un articolo.

MILANO – Per il tribunale di Milano i partecipanti a una manifestazione commemorativa dei caduti di Salò non hanno commesso un reato: è stata una «manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita», che non ha attentato alla «tenuta dell’ordine democratico». Avevano gridato «Sieg Heil», esposto uno stendardo della «associazione combattenti 29esima divisione granatieri Waffen-SS» e avevano il braccio teso alzato. Il motto nazista è risuonato, il 24 aprile 2016, nel cimitero di Musocco, in occasione della cerimonia di commemorazione dei caduti di Salò. Così motiva la sua decisione il giudice Maria Angela Vita nella sentenza con cui, nel febbraio scorso, ha assolto perché «il fatto non sussiste» tre persone accusate di avere violato l’articolo 5 della legge Scelba, che sanziona chi compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista e delle organizzazioni naziste.
I tre personaggi nel febbraio di due anni fa presero parte a una cerimonia commemorativa dei caduti della Repubblica sociale italiana, che si svolge ogni anno al Campo 10 del cimitero nel capoluogo lombardo. Scrive il giudice che i «simboli fascisti e nazionalsocialisti ostentati nel corso della cerimonia» sono stati una «manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita, all’interno di un contesto commemorativo (e non un attentato concreto alla tenuta dell’ordine democratico) e come tali, pertanto, privi di quella offensività concreta vietata dalla legge». Il giudice, come si evince dalle motivazioni, ha valutato infatti che la norma della legge Scelba punisce «quelle manifestazioni del partito fascista che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste».
Ma nel caso della cerimonia al Campo 10, le «circostanze e le modalità della cerimonia funebre pure a fronte dell’ostentazione da parte degli odierni imputati di gesti, comportamenti ed emblemi indiscutibilmente di stampo fascista e nazionalsocialista, non appaiono, al tribunale, tali da suggestionare concretamente le folle, e indurre negli astanti sentimenti nostalgici in cui ravvisare un serio pericolo di riorganizzazione del partito fascista». Inoltre viene sottolineato il «carattere esclusivamente commemorativo» e «pacifico» della cerimonia, che era «esclusivamente rivolta ai defunti, in segno di omaggio e di umana pietà, senza alcuna finalità di restaurazione di carattere fascista o nazionalsocialista».

BARI – A Bari invece fu chiusa la sede di Casapound. Trentacinque le persone indagate nella prima inchiesta sull’estrema destra a Bari. I fatti partono dalla manifestazione del 21 settembre 2018 quando, al termine di una manifestazione di protesta contro il ministro degli Interni, Matteo Salvini, organizzata dai ragazzi dell’ex Caserma Liberata nel quartiere Libertà, tre persone furono aggredite da alcuni militanti di Casapound che si erano dati appuntamento proprio per la manifestazione nella loro sede di via Eritrea. Secondo quanto ritrovato nelle perquisizioni della sede, dai manubri da palestra al busto di Benito Mussolini, dalla bandiera della X Mas al Mein Kampf di Adolf Hitler, i giudici hanno tratto la convinzioneche si trattasse di tentativo di ricostituzione del partito fascista. Non mi sembra una fattispecie tanto dissimile rispetto alla precedente.

MANTOVA– Valzer di decisioni contrapposte invece nella sede di Mantova. Politica, giurisdizioni amministrative e giustizia ordinaria hanno fatto a gara a contraddirsi. Alle elezioni di Sermide nel 2017 aveva preso parte la lista dei Fasci Italiani del Lavoro che, secondo gli oppositori, faceva riferimento, nel nome e nel simbolo, al disciolto Partito Fascista. La lista, a sorpresa, era stata in grado di raccogliere oltre il 10% dei voti (334) e di eleggere, per la prima volta, un consigliere comunale, Fiamma Negrini. Il Tar e il Consiglio di Stato avevano poi annullato le elezioni. Instaurato nel frattempo anche il processo penale, il 22 marzo 2019 il gup del tribunale di Mantova, dopo che il pm aveva chiesto pene per complessivi 20 anni di reclusione, ha assolto i 9 imputati per non aver commesso il fatto. Il movimento di destra, secondo quando riporta il Corriere della Sera, avrebbe annunciato adesso l’intenzione di procedere, probabilmente con un esposto alla Procura, nei confronti dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini che a suo tempo aveva fatto scoppiare il caso. Dal canto loro Anpi e forze di sinistra reagiscono indignate alla sentenza, affermando di voler continuare a combattere «questi fascisti fuori dal tempo». E chi più ne ha, più ne metta, un teatrino della politica onestamente controproducente.

Ecco, questo quadro dovrebbe convincere le persone responsabili che occorre far chiarezza nell’interesse di tutti, non lasciando all’iniziativa del politico o del ministro di turno la condanna di determinati comportamenti, ma fornendo indicazioni precise alla magistratura e alle autorità preposte alla sicurezza in modo da facilitare le loro decisioni. Ne guadagnerebbe la credibilità della politica e delle istituzioni. Ma forse questo non è proprio il momento politicamente adatto per una simile operazione.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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