Luciano Benetton: «Dopo Ponte Morandi, torno a metterci la faccia. Non siamo razza padrona»
ROMA – E’ contrariato, Luciano Benetton: nel giro di pochi mesi ha perso due fratelli, Carlo e Gilberto (di quattro che erano, sono rimasti solo sua sorella Giuliana e lui) e gli è caduta addosso la pesantissima accusa del crollo del Ponte Morandi, a Genova. Ma ora, a 84 anni, riparte e ci mette di nuovo la faccia. Intervistato da Repubblica, dice: «Dal governo ci hanno subito accusato ingiustamente, senza conoscere le cose. Qualcuno aveva interesse ad attaccare la politica dei precedenti governi. Siamo stati additati improvvisamente come una famiglia di avidi speculatori: dalli ai Benetton. E capisco che in tanti, in buona fede, ci abbiano pure creduto. Davanti a quelle accuse orribili, in tv, ho persino temuto per la sicurezza dei ragazzi, dei miei nipoti. Chiamarsi Benetton poteva essere un rischio. Fortunatamente non è accaduto nulla, perché la gente che ci conosce non si è fatta contagiare da quell’odio così ingiusto».
In merito alla foto pubblicitaria di Oliviero Toscani, in cui appare insieme a una ragazza sudanese, dice: «Sono tornato a metterci la faccia». E ancora: « La manutenzione dei ponti e gli investimenti sulle strade sono obblighi imposti dal contesto prima che una libera opzione intellettuale. Tutti sanno che non facciamo parte di quel capitalismo che è un’avventura tra politica e malaffare. Non siamo né papponi di Stato né razza padrona. Il crollo del ponte è stata una disgrazia imprevedibile e inevitabile, purtroppo. Sono sicuro della buona fede dei manager di Autostrade. Nessun imprenditore può immaginare di risparmiare sulla manutenzione dei ponti e delle autostrade. Non sarebbe solo un delitto da irresponsabili, sarebbe anche un errore da stupidi. Certamente non si sapeva che il ponte era a rischio di crollo. Era però sovraccarico. C’è un’indagine molto complessa che stabilirà cause e concause. Con il senno del poi dico che si doveva diminuire il traffico. Se si fosse fatta la Gronda, il traffico sarebbe certamente diminuito».
In merito alle indiscrezioni secondo cui il governo avrebbe chiesto ad Aeroporti di Roma di partecipare al salvataggio di Alitalia, «mi sono informato: non c’è stato nessun incontro, nessuna proposta, niente di niente. Alitalia sta a cuore a tutti gli italiani e credo che non rimanga molto tempo. La cosa più importante è il marchio italiano, la bandiera. C’è l’esempio della Swiss Air che è fallita, ma il marchio è ora gestito da Lufthansa. Aeroporti di Roma e Alitalia hanno certamente interessi comuni. Ma non sono arrivate proposte. Mentre su Generali, non abbiamo alcun rappresentante nel consiglio e ci sta bene così. Crediamo però che le Generali debbano essere italiane. Ci sono anche Caltagirone, Del Vecchio e Mediobanca. È un bel pacchetto italiano che, tutti e tre insieme, vorremmo rafforzare».