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Firenze: crac moda Braccialini, 46 indagati per bancarotta

FIRENZE – La procura ha indagato 46 persone nell’inchiesta per bancarotta relativa al crac della casa di moda Braccialini, già dichiarata fallita nel dicembre del 2017 con un rosso di 37 milioni di euro di debiti. I pm Luca Turco e Christine Von Borries hanno inviato alle persone coinvolte l’avviso di conclusione delle indagini. Tra gli indagati figurano i fratelli Riccardo e Massimo Braccialini, i componenti del cda e del collegio sindacale succedutisi dal 2011 al 2014 e quelli in carica nel 2016 al momento della richiesta di concordato preventivo, ma ci sono anche gli allora dirigenti e quadri di otto banche che avrebbero erogato all’azienda finanziamenti pur non essendoci le condizioni per farlo.

L’accusa principale ipotizzata dai pm è quella di bancarotta societaria da falso in bilancio, relativa ai bilanci del periodo
2011-2014. In particolare per mascherare il dissesto, secondo l’accusa, sarebbero stati approvati bilanci con voci gonfiate, tra cui
il valore delle ‘rimanenze finali’ e il valore di terreni e fabbricati. Nell’inchiesta viene ipotizzato anche il ricorso abusivo
al credito bancario, in relazione ad alcuni finanziamenti accordati nonostante lo stato di crisi della Braccialini, che poi sarebbero
stati utilizzati dalla stessa Braccialini per estinguere debiti pregressi con gli istituti bancari.

In uno dei casi contestati, producendo i bilanci del 2011 e del 2012, che secondo i pm Turco e von Borries furono falsificati in modo da dissimulare l’erosione del capitale sociale e lo stato di insolvenza, gli amministratori della Braccialini srl, in concorso con i quadri
direttivi e i funzionari di numerosi istituti di credito, avrebbero ottenuto l’erogazione di un finanziamento da circa 6,5 milioni di
euro. Sempre secondo l’accusa, poco prima e poco dopo aver avanzato richiesta di ammissione al concordato preventivo, nel giugno del 2016, la Braccialini avrebbe eseguito pagamenti preferenziali a favore di alcune ditte per evitare che cessassero le forniture, attraverso, però, l’emissione da parte di queste ultime di fatture false poiché maggiorate degli importi dei debiti pregressi. Contestata dagli inquirenti anche la presunta distrazione del ramo d’azienda relativo alla produzione del marchio Vivienne Westwood. Inoltre, gli inquirenti ritengono che per quanto riguarda la voce terreni e fabbricati sarebbe stato indicato un valore non veritiero per l’immobile in possesso a Pontassieve (Firenze). Non più funzionale per la società, fu stimato per la vendita a terzi per 1.430.000 euro. Nonostante questo, nel bilancio chiuso al 2011 viene attribuito all’edificio un valore di oltre 2,9 milioni di euro così da incrementare asseritamente, secondo l’accusa, il valore del patrimonio della società.

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