Fisco e sharing economy: l’Agenzia delle Entrate sulle tracce di 400 milioni
ROMA – La Procura di Genova sta conducendo un’indagine per presunta evasione fiscale dell’Iva da parte di Booking. L’accusa consiste nel fatto che la società dovrebbe versare l’Iva per gli introiti da intermediazione. Esattamente, secondo la Procura, trecentocinquanta milioni di euro non versati durante l’attività di incrocio di domanda e offerta di appartamenti e stanze tra privati, in relazione agli anni che vanno dal 2013 al 2019. La svolta all’indagine sarebbe arrivata grazie ad una rogatoria all’Olanda, dove il gruppo Usa ha la sua sede in Europa, che ha permesso di poter accedere a documenti sul suo effettivo giro d’affari in Italia. A seguito di una richiesta di Federalberghi, che aveva segnalato che detti portali emettono fatture senza IVA italiana, applicando il meccanismo del “reverse charge” anche nei casi in cui la struttura ricettiva è priva di partita IVA, l’Agenzia delle Entrate aveva peraltro chiarito che l’Iva sulle commissioni dei portali online è sempre dovuta. In sostanza, se chi affitta ha la partita Iva si dovrà fare carico del versamento in regime di inversione contabile, altrimenti deve essere il portale stesso ad identificarsi e ad emettere fattura con Iva italiana. Il tema attiene del resto al più ampio argomento della sharing economy, che promuove lo sfruttamento delle risorse grazie a piattaforme che mettono in contatto le persone per affittare, condividere, scambiare, vendere beni, etc.
In questo caso l’azienda che li offre è una piattaforma abilitatrice. Non eroga cioè servizi o prodotti, ma mette direttamente in contatto chi cerca con chi offre. Al di là della questione Iva, la risposta assume inoltre importanza anche ai fini imposte dirette. Ora che l’Agenzia delle Entrate ha indicato come necessaria l’identificazione diretta, o la nomina di un rappresentante fiscale per le piattaforme online che prestano servizi di intermediazione, si apre infatti anche la possibilità per le stesse piattaforme di occuparsi degli adempimenti dichiarativi e di versamento che esulano dal campo Iva. L’individuazione di un rappresentante fiscale in Italia o l’identificazione diretta rende infatti la piattaforma un soggetto idoneo ad assolvere ogni altro adempimento fiscale, compresa, per esempio, l’applicazione di ritenute sui compensi corrisposti ai locatari degli immobili. Questo almeno nel caso di portali esteri con sede in altro Stato UE. Insomma, un primo, importante, passo, che forse meriterebbe qualcosa di più di una semplice interpretazione dell’Agenzia delle Entrate. E questo anche considerato che la Commissione europea, in un suo studio del 2015 aveva stimato che la sharing economy è potenzialmente in grado di accrescere le entrate globali dagli (allora) 13 miliardi di euro circa a 300 miliardi di euro entro il 2025. E in Italia, secondo lo stesso studio, si potrebbero recuperare, già oggi, circa 450 milioni di euro di base imponibile, fino ad arrivare, nel 2025, ad un maggior gettito di circa 3 miliardi di euro.