
Discontinuità, il tormentone che non portò fortuna a Follini diventa il mantra di Zingaretti

E’ tornata ad aleggiare con insistenza nella discussione politica una parola magica che intorno al 2004 costituì il tormentone della stagione che vedeva il governo Berlusconi quotidianamente punzecchiato non tanto, com’è normale, dagli avversari politici, ma soprattutto dagli alleati della coalizione, fra i quali spiccava Marco Follini, democristiano doc nell’Udc, passato poi a Udeur e altri partiti. Intervistato in ogni telegiornale e in ogni salotto televisivo, il giovane e tormentato politico ripeteva pensoso una specie di mantra, “occorre discontinuità”.
Il monito era diretto a Silvio Berlusconi, allora capo del governo in cui lo stesso Follini occupava la poltrona di vicepresidente del consiglio (l’altro vice era Fini), ma sempre con l’aria di vergognarsene un po’; oltre alla vaga discontinuità s’invocava «nuova rotta, nuova squadra, nuovo programma». In realtà, reputandosi intellettuale non tanto, ma abbastanza di sinistra, Follini si sentiva terribilmente a disagio in quella compagnia, e senza mai dirlo apertamente sognava l’emarginazione della Lega e le dimissioni di Berlusconi per restituire il pallino ai professionisti della politica.
Il governo cadde (2005), Berlusconi restò in sella, Follini no. Tentò di fondare un nuovo partito, morto in fasce; poco dopo sparì dalla scena politica e dalla memoria degli italiani. I più anziani, come me, si ricordano però di quel suo chiodo fisso che ossessionò a lungo la vita politica italiana, i media, i commentatori politici, ciascuno dei quali dava una sua interpretazione di quell’espressione di stile vagamente moroteo (ma Moro era di altra statura).
Adesso, forse troppo giovane per ricordare vicende di quindici anni fa, lo stesso mantra, per indicare il profilo di un nuovo e per ora ipotetico governo, risuona nei proclami Nicola Zingaretti. Il presidente Mattarella, politico di lungo corso, sicuramente memore di quella stagione ormai lontana, probabilmente in cuor suo avrà fatto qualche riflessione, ma non pensiamo che abbia ricordato al segretario dem l’infausto precedente .
Qualcuno, invece, non vincolato da ruoli istituzionali un consiglio potrebbe anche darlo a Zingaretti: quello di lasciar perdere il politichese, le formule confuse e prive di concreto significato che in passato non hanno portato fortuna ai loro inventori (Follini docet) e di esporre con chiarezza le sue idee sui temi che interessano davvero agli italiani. Per dirne uno: discontinuità dalla precedente politica sulla questione migranti significa porti aperti, sbarchi per tutti, ONG-traghetto accolte ogni giorno a braccia aperte? Lo dica chiaramente, senza nascondersi dietro parole fumose che appartengono a una tradizione estinta e che ormai suscitano solo irritazione.
