Le virate di Di Maio, l’apoteosi di Conte, altri contrasti col Pd, la soluzione si allontana
La seconda giornata di consultazioni del nuovo idolo della sinistra europea, Giuseppì Conte (versione Trump) ha messo in chiaro alcuni aspetti significativi dell’intricato processo di formazione del governo giallorosso.
Nelle consultazioni con la delegazione grillina Conte ha ricevuto due precisi messaggi che non depongono molto favorevolmente per il seguito della sua seconda avventura. A meno di nuovi interventi esterni dell’Europa, dell’America, della finanza internazionale che manovra a suo piacimento lo spread o dello stesso Colle.
Innanzitutto i punti del programma grillino da osservare sono diventati 20, una fatica di Sisifo per il professorino apulofiorentino uscito dal nulla. Potrebbe sparigliare le carte soprattutto l’ultima affermazione di Di Maio in merito al decreto sicurezza. Il capo grillino potrebbe (ma non è detto che ciò avvenga) ingoiare il rinvio del taglio dei parlamentari secondo le modalità chieste dal Pd e accettate da Conte (e già questo sarebbe uno sgarbo a 5 stelle), ma non transigere sull’ultima sua affermazione, fatta, a mio avviso, a bella posta: «Riteniamo che non abbia alcun senso parlare di modifiche ai decreti sicurezza. Vanno tenute in considerazione le osservazioni del Capo dello Stato ma senza modificare la ratio di quei provvedimenti. Ho detto che non rinneghiamo questi 14 mesi di governo». E in più, niente patrimoniale, che preme tanto al Pd e ai suoi alleati della sinistra.
Immediata la reazione del Pd con la vicesegretaria De Micheli: «La circostanza che Di Maio abbia fatto la conferenza stampa che ha fatto e’ incomprensibile (…). Non ho la sfera di cristallo – ha detto ancora la De Micheli – per sapere cosa accadra’ nei giorni che ci separano dalle decisioni che prendera’ Conte. E’ stata una trattativa programmatica normale. Rileviamo un comportamento incomprensibile del capo politico dei 5 stelle. Se si fanno i giochetti e si scherza gli italiani se ne accorgono».
Dunque a questo punto potrebbero emergere tutte le contraddizioni di questa strana crisi e della sua difficile soluzione. Il premier Conte, dopo aver fatto fuori Salvini cerca di emarginare anche Di Maio, appoggiandosi al Pd. Di Maio, sia pure in ritardo, l’ha capito e cerca a sua volta di emarginare il capo del governo prima che sia troppo tardi o comunque di alzare la posta del suo assenso. Mattarella ha avuto un comportamento incerto, prima ha fissato determinate condizioni, soprattutto tempi stretti e chiarezza, poi – invece di varare un governo che ci portasse alle elezioni – ha ceduto alla profferta di due partners raccogliticci, senza un programma definito e univoco, uniti solo dalla finalità di far fuori Salvini. Ipotesi che fin dall’inizio, visto che per di più riportava al governo i dem, al siculo presidente intronato da Renzi andava benissimo.
Nonostante le incertezze che permangono ci sarebbe ancora il tempo per rimediare, se le parti politiche dimostrassero maggiore responsabilità e meno litigiosità e brama di potere e se qualcuno mostrasse fermezza non soltanto nelle stentoree declamazioni e nella faccia indispettita, ma anche nei comportamenti concreti.