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Web tax: chi guadagna in Italia deve pagare come tutti. Adeguare le norme

Technique For Faster Web DevelopmentROMA – Come noto le multinazionali del web godono di una non più ammissibile omessa tassazione dei loro miliardari profitti. Ciò che, dopo anni di (spesso sterili) dibattiti, è stato finalmente compreso è che, per affrontare fenomeni come quello della tassazione dell’economia digitale, occorre adottare una nuova prospettiva. Già all’Ecofin di Tallin del 21 settembre 2017, del resto, anche l’Europa aveva capito la ineluttabilità di trovare una soluzione, operando, principalmente, in due direzioni: tassazione sul fatturato, e/o evoluzione del concetto di stabile organizzazione. Con sullo sfondo il tema dei big data. La stabile organizzazione, in particolare, costituisce la codificazione del principio per cui uno Stato può tassare gli utili di impresa solo qualora il non residente eserciti la propria attività in tale Stato mediante una sede fissa di affari.

Ma di quale sede fissa hanno bisogno gli operatori del web? E però la citata definizione di stabile organizzazione trova consacrazione sia nelle norme interne che nelle convenzioni internazionali. E questo è stato, fino ad oggi, il principale ostacolo all’introduzione di una norma ad hoc, che fermasse l’emorragia fiscale. Eppure c’è ancora oggi chi sostiene che una modifica unilaterale del concetto di stabile organizzazione sarebbe vana, poiché le multinazionali estere invocherebbero il principio della prevalenza delle disposizioni internazionali sulle norme interne. Ai tecnici della materia, però, non può sfuggire che una soluzione normativa di stampo solo procedurale e in funzione antielusiva, che, in pratica, comporti solo un’inversione dell’onere della prova, a carico delle società del web, al superamento di determinati parametri presuntivi, non sarebbe, in realtà, soggetta a tale pericolo.

Ma allora perché l’introduzione di una tale norma (di civiltà giuridica e fiscale) suscita tante opposizioni e perplessità? Probabilmente per miopia giuridica. O più semplicemente perché anche agli economisti e giuristi che si confrontano sul tema sfuggono spesso molti dei profili legati all’evoluzione tecnologica. Insomma, l’approccio al fisco del mondo digitale deve essere darwiniano. Nel senso che vi deve essere un’evoluzione giuridica al passo con quella tecnologica. Chi opera (e guadagna) nel nostro Paese deve sottostare alle leggi nazionali come tutti i normali cittadini. E lo deve fare in quanto soggetto allo Stato di diritto e non come contributo volontario alla propria comunità locale di riferimento (parole di Facebook). Fino a prova contraria le multinazionali non trattano alla pari con gli Stati.


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Giovambattista Palumbo

Osservatorio politiche fiscali dell'Eurispes

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