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La Corte Ue a Facebook: cancellare i contenuti simili a illeciti. La replica: si viola la libertà di espressione

Facebook 1 2BRUXELLES – Di nuovo Facebook, e non solo, sotto i riflettori della Corte Ue: il monito è rivolto a tutti i prestatori di servizi di hosting, come appunto Facebook, ora tenuti a rimuovere anche i contenuti identici o equivalenti a un contenuto già giudicato illecito. Lo ha stabilito la Corte Ue, chiarendo che una richiesta simile da parte della magistratura non viola le disposizioni della direttiva europea sul commercio elettronico e può applicarsi a livello mondiale nell’ambito del diritto internazionale. Con la sentenza odierna, la Corte Ue ha quindi stabilito che i giudici europei hanno il diritto di chiedere la cancellazione dal web non solo dei contenuti da loro ritenuti illeciti, ma anche di quelli simili o equivalenti. E questo senza violare le norme europee nè la libertà di espressione. La vicenda ha preso le mosse dall’azione legale intentata dall’austriaca Eva Glawischnig-Piesczek, presidente del gruppo parlamentare dei Verdi, contro Facebook Ireland dinanzi ai giudici austriaci.

L’esponente verde aveva chiesto di ordinare a Facebook di cancellare un commento pubblicato da un utente lesivo del suo onore, nonché affermazioni identiche o dal contenuto equivalente. E la Corte suprema austriaca aveva chiesto alla Corte di giustizia Ue di interpretare la direttiva sul commercio elettronico per capire come applicare la norma. Oggi, 3 ottobre, la Corte Ue ha quindi deciso che, sebbene un prestatore di servizi di hosting come Facebook non sia responsabile delle informazioni memorizzate qualora non sia a conoscenza della loro illiceità, questo non pregiudica la possibilità di ingiungergli di porre fine o impedire una violazione, in particolare cancellando le informazioni illecite o disabilitando l’accesso alle medesime.

Nella sentenza, i giudici comunitari ricordano però anche che la normativa Ue vieta di imporre a un prestatore di servizi di hosting di sorvegliare, in via generale, le informazioni da esso memorizzate o di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. Tutto ciò premesso, la Corte ha quindi sentenziato che un giudice di uno Stato membro può ingiungere a un prestatore di servizi di hosting di rimuovere le informazioni da esso memorizzate e il cui contenuto sia identico a quello di un’informazione precedentemente dichiarata illecita o di bloccare l’accesso alle medesime, qualunque sia l’autore della richiesta di memorizzazione di siffatte informazioni. Inoltre, la magistratura nazionale può chiedere di rimuovere le informazioni oggetto dell’ingiunzione o di bloccare l’accesso alle medesime a livello mondiale, nell’ambito del diritto internazionale pertinente, di cui spetta agli Stati membri tener conto.



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