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Taglio pensioni d’oro: Corte dei Conti Trieste rimette gli atti alla Consulta, sollevata questione costituzionalità

TRIESTE – La Corte Costituzionale sarà nuovamente chiamata ad esprimersi sull’annoso problema dei tagli alle pensioni d’oro, con le riduzioni rilevanti attuate dai vari governi, a partire da Monti e Letta, per passare a Renzi e Gentiloni e finire a quello gialloverde.

La Consulta in passato ha dato più volte ragione ai ricorrenti, considerando quest’intervento come una sostanziale tassa, che dovrebbe colpire progressivamente tutti e non solo i pensionati, ma ogni governo ha ignorato le conseguenze di questi giudizi arrivando, da ultimo a operare tagli fino al 40% degli assegni.

La Confederazione dei dirigenti CIDA ha dato perciò mandato a un famoso studio legale di intraprendere alcuni ricorsi “pilota” contro la riduzione dei trattamenti pensionistici prevista dall’art. 1, comma 261, della l. n. 145 del 2018 e contro il blocco della perequazione imposto dall’art. 1, comma 260, della medesima legge. E in senso analogo si sono mosse altre associazioni e gruppi di pèensionati tartassati interessati.

La strategia era quella di scegliere le sedi dove intentare le cause, individuando i profili dei ricorrenti che meglio facessero emergere l’iniquità delle norme, con la finalità di far sì che un Giudice ordinario (o una Corte dei Conti, a livello territoriale) ritenesse dubbia la costituzionalità delle norme e le rinviasse al giudizio della Consulta.

Uno dei primi giudici aditi è stata la Corte dei Conti di Trieste, che ha ritenuto fondata la richiesta dei ricorrenti, come ci informa puntualmente con una nota pubblicata sul suo sito la stessa CIDA:

«La Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dei provvedimenti legislativi che hanno determinato l’ennesimo blocco della perequazione e il prelievo straordinario sulle pensioni di importo medio-alto. In particolare, con l’ordinanza 17 ottobre 2019, n. 6, la Corte dei Conti del Friuli VG ha rinviato al giudizio della Consulta, l’art. 1, comma 260, della l. n. 145 del 2018, per violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione; e l’art. 1, commi da 261 a 268, della l. n. 145 del 2018, per violazione degli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 della Costituzione. In un’ordinanza di 36 pagine la Corte dei Conti del Friuli VG ha rilevato che i provvedimenti legislativi in questione non rispettano i tre fondamentali principi posti dalla Corte Costituzionale in tema di previdenza: ragionevolezza, adeguatezza, affidamento.

In particolare, sull’intervento di riduzione delle pensioni di importo elevato (art. 1 commi 261-268 della l.n.145/2018) nell’ordinanza si fa esplicito riferimento alla durata quinquennale, che di fatto determina una “decurtazione patrimoniale arbitrariamente duratura del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo gettito. E costituisce un prelievo coattivo correlato ad uno specifico indice di capacità contributiva, che esprime l’idoneità del soggetto passivo all’obbligazione tributaria”. Confliggendo così, rileva la Corte di Conti, con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, perché il prelievo grava soltanto “su specifiche categorie di pensionati e non su tutti i cittadini, con ciò risultando ingiustificatamente discriminatorio e non rispettoso dei canoni fondamentali di uguaglianza a parità di reddito e di universalità dell’imposizione”.

Inoltre, questa modalità di prelievo non è neanche giustificata da “alcuna condizione di eccezionalità e/o di specifica crisi del settore previdenziale, cui si debba far fronte con il tributo de quo”. Insomma, “il sacrifico imposto ad una ristretta cerchia di soggetti, si palesa del tutto ingiustificato e discriminatorio, impropriamente sostitutivo di un intervento di fiscalità generale nei confronti di tutti i cittadini”.

Per quanto riguarda, poi, la revisione del meccanismo di rivalutazione delle pensioni (art. 1 comma 260 l.n.145/208), secondo la magistratura contabile siamo in presenza di “una sequenza ininterrotta di provvedimenti che, secondo modalità diverse ma rispondenti ad una omologa ratio ispiratrice, hanno sistematicamente compresso (e talora del tutto escluso) la perequazione dei trattamenti pensionistici di maggior importo a partire dall’anno 2012. La situazione determinata con la legge di bilancio 2019, porta a considerare detta contrazione per un decennio 2012-2212”. Per il remittente, prosegue l’ordinanza, l’intervento sulla perequazione delle pensioni, presenta “due significativi profili di criticità”: non risulta “sorretto da specifiche esigenze di contenimento della spesa pubblica”, insiste su un arco temporale “difficilmente riconducibile nell’alveo della nozione di transitorietà”. Quindi, conclude la Corte dei Conti, “si dubita della legittimità costituzionale della norma all’esame, per violazione degli art. 3, 36 e 38 della Costituzione».

Mi sembra confortante che un organismo giurisdizionale al di sopra delle parti abbia ritenuto contraria ai principi costituzionali una nuova sostanziale gabella che toglie il dovuto a chi ha pagato fior di tasse e di contributi per dare il non dovuto ai nullafacenti, a chi non ha mai pagato nulla, attraverso il reddito di cittadinanza. Che, si è scoperto, è stato attribuito anche a moltissimi che non ne avevano diritto o a condannati per delitti gravissimi. Ma questa è l’Italia.

In attesa della pronuncia dei giudici costituzionali, in merito alla quale il sito dell’Associazione APS Leonida – pensionati esasperati chiosa: «CI SARÀ PURE UN GIUDICE EQUO IN PIAZZA DEL QUIRINALE, 41, a Roma». E’ l’auspicio di noi tutti.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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