Sugar tax e bibite nell’ottica del governo: meno bevi, più risparmi
La legge di Bilancio 2020, seppur facendone slittare l’operatività ad ottobre 2020, prevede l’introduzione di un’imposta sul consumo di bevande con zuccheri aggiunti: la cosiddetta sugar tax. L’imposta, fissata nella misura di 10 euro per ettolitro per i prodotti finiti, e di 0,25 euro per Kg per i prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione, colpisce le bevande edulcorate, dovendo intendersi per edulcorante qualsiasi sostanza, di origine naturale o sintetica, in grado di conferire sapore dolce alla bevanda. L’obbligazione tributaria sorge (e l’imposta diviene esigibile) all’atto della cessione a consumatori nel territorio dello Stato, ovvero a ditte nazionali esercenti il commercio che ne effettuano la rivendita, all’atto del ricevimento da parte del soggetto acquirente per i prodotti provenienti da Paesi UE e all’atto dell’importazione definitiva nel territorio dello Stato per le bevande importate da Paesi extra-UE.
L’imposta non si applica invece alle bevande edulcorate cedute direttamente dal fabbricante nazionale per il consumo in altri Paesi della UE e per quelle esportate. Sono, inoltre, esenti dal pagamento dell’imposta le bevande il cui contenuto complessivo di edulcoranti sia inferiore o uguale a 25 gr/l per i prodotti finiti e 125 gr/kg per i prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione. Il contenuto complessivo di edulcoranti contenuti nelle bevande è determinato, in sostanza, con riferimento al potere edulcorante di ciascuna sostanza. Tale potere viene stabilito convenzionalmente per ciascun edulcorante in relazione al rapporto tra la concentrazione di una soluzione di saccarosio e quella della soluzione dell’edulcorante, aventi la stessa intensità di sapore, e tale rapporto dovrà essere dettagliato con decreto interdirettoriale del Ministero dell’Economia e delle finanze e del Ministero della Salute, da emanarsi entro 30 giorni dalla pubblicazione della legge di Bilancio. L’esempio a livello internazionale a cui sembra preferibile rifarsi è quello della Gran Bretagna, dove, la Soft Drinks Industry Levy è dovuta per tutte le bibite analcoliche o poco alcoliche, pronte da bere o solubili, che contengano zuccheri aggiunti oltre una certa soglia. L’idea di una tassa sulle bibite zuccherate è stata comunque oggetto di critiche sotto diversi aspetti.
Uno degli argomenti utilizzati per contestarne l’efficacia verte, tra l’altro, sull’idea che possa trattarsi di un’imposta regressiva, il cui impatto andrebbe a pesare maggiormente sui consumatori appartenenti alle fasce di reddito più basse. Lo stesso aspetto è stato però usato per difendere l’efficacia della misura, che, disincentivando il consumo di quello che viene identificato come un bene dannoso per la salute, andrebbe in realtà a creare vantaggio, inducendo a ridurne l’utilizzo, proprio di quelle classi colpite dal provvedimento. È del resto difficile stabilire a priori se il maggior costo di produzione conseguente alla tassazione si possa ribaltare totalmente su un aumento dei prezzi al dettaglio ed eventualmente se bibite più costose cambieranno effettivamente le abitudini di consumo. La vera ratio della leva fiscale dovrebbe essere comunque quella di incentivare l’evoluzione di prodotti non dannosi o meno dannosi. Il vero successo della sugar tax non si dovrebbe quindi misurare dal lato della domanda, quanto nella sua capacità di spingere i produttori a ridurre il contenuto di zuccheri delle proprie bibite per sottrarsi all’obbligo impositivo.