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Messa di Natale 2019 a Barberino: la celebrazione di Betori nel terremoto del Mugello (Video)

Betori
Il Cardinale Giuseppe Betori

BARBERINO DI MUGELLO – L’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, ha celebrato la messa della notte di Natale 2019 nella palestra di Barberino di Mugello, che fino a poche ore fa ospitava gli sfollati del terremoto. E’ stato un gesto, quello di Betori, capace di ricordare la messa di Natale del 1966 celebrata da Papa Montini, Paolo VI, nel Duomo di Firenze, un mese e mezzo dopo la disastrosa alluvione dell’Arno. Dopo le calamità naturali, la Chiesa va incontro alle popolazioni colpite portando la sua parola di conforto.

Ecco il video della celebrazione di Betori:

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Il cardinale Giuseppe Betori, nella mattina di Natale 2019 ha celebrato la messa nel Duomo di Firenze. Ecco il testo integrale dell’omelia, centrata su Firenze, città che, sostiene l’arcivescovo, non deve essere solo custode dell’arte del passato, ma centro vitale, anche di accoglienza, dove la Chiesa è pronta a fare la sua parte:

«Prorompete insieme in canti di gioia, […] perché il Signore ha consolato il suo popolo […]; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio» (Is 52,9.10). L’annuncio del profeta, che ha aperto la proclamazione della parola di Dio in questa Messa del Giorno di Natale è un Vangelo per noi., una buona notizia che viene a contrastare le fatiche dei nostri giorni, soprattutto ad abbattere le chiusure in cui intristiamo, a ridonare fiducia e speranza.

​Di fiducia e speranza abbiamo profondo bisogno, in specie per ridare forza al nostro desiderio di vita. Di fronte al Bambino che nasce a Betlemme la nostra società ha il dovere di interrogarsi su che cosa si sta facendo per invertire la rotta della denatalità in cui stiamo precipitando come popolo. Nessuno si può sottrarre alla responsabilità di aver lasciate sole le famiglie, anzi di averle dimenticate per lasciar spazio a unopprimente individualismo, ignorate dai legislatori, oscurate dalla cultura egemone, deformata la loro immagine autentica nella comunicazione che confonde tra loro realtà non assimilabili. La grotta di Betlemme ci ricorda che la vita ha bisogno della famiglia e che la famiglia ha bisogno di accoglienza e sostegno.

​Famiglia è anche il carattere che deve assumere ogni comunità umana, anche una città. La vita delle persone, soprattutto dei più deboli, deve essere al centro delle preoccupazioni della convivenza civile, e perché ciò accada occorre promuovere relazioni umane e familiari, con il convergere di tutti verso il bene comune. Si tratta di una prospettiva decisiva per questa nostra città, se vuole restare comunità pur accettando che la bellezza, di cui è erede, possa essere condivisa anche da altri. L’alternativa non è tra una comunità chiusa e una città senza identità, ridotta a vetrina del tempo che fu. C’è un’altra strada: quella di una Firenze capace di accoglienza proprio perché pulsante di vita e di rapporti sociali, di lavoro creativo e di umana solidarietà. La Chiesa è pronta a continuare a fare la propria parte.

​Fiducia e speranza, per noi, non sono solo sentimenti, ma hanno radici sicure, quelle del disegno che Dio ha sul mondo, un disegno di «pace» ci ha detto il profeta (Is 52,7). Il Bambino che nasce a Betlemme –ci ha rivelato a sua volta l’apostolo Giovanni – è la Parola, il «Verbo» per mezzo del quale tutto è stato fatto di ciò che esiste (cfr. Gv 1,3). Egli è la vita da cui trae origine ogni cosa che ha vita nel mondo, ed è la luce che ne illumina la verità e il significato. Questo disegno di vita e di luce giunge alculmine quando il Padre invia il suo Figlio tra noi, facendo del nostro Dio un «Dio con noi» (Mt 1,23), perché da lui, venuto ad abitare in mezzo a noi, noi possiamo trarre la grazia, il dono dell’amore che rigenera la nostra vita caduta nelle tenebre. E l’evangelista conclude: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18).

​Il compimento del disegno di Dio è mostrarsi a noi uomini nel volto del Figlio. E questo lo fa nelle fattezze fragili di un bambino, per continuare poi nella condizione comune di una vita di famiglia e di lavoro, quindi nella precarietà di una missione itinerante in cui manca perfino dove posare il capo, per concludere nella spoliazione estrema della morte su una croce. Questo mistero di fragilità, povertà, precarietà, marginalità è il volto di un Dio che si rivela come amore. Entrare in questo mistero e condividerlo diventa la condizione per vivere nella fede in lui, cercato nei fratelli più poveri e deboli, “scarti” della società.

​Un Dio che per farsi dono raggiunge la povertà di una mangiatoia,traccia una strada di condivisione con gli altri fino alla spoliazione di sé, perché diventi anche la strada della nostra vita. È questa la condizione per dare autenticità alla secolare dedizione della nostra gente nelle varie forme di carità e solidarietà che ne arricchiscono il tessuto sociale. Restiamo fedeli a questo carattere ereditato dai nostri padri, fin dall’istituzione dei nostri Spedali e delle nostre Misericordie. Occorre ora saper declinare questo carattere nel cambiamento epocale in atto, che rende più vicini popoli, culture e religioni, aprendoci all’accoglienza e al dialogo. Rinnoviamone costantemente le radici, ricordando che se siamo chiamati a donare è perché noi per primi siamo stati destinatari di un dono, e del più grande dono possibile, il dono del Figlio di Dio che vuole rendere capace di amore divino la nostra esistenza di uomini.

​La contemplazione del mistero di Dio per noi e del mistero dell’amore tra noi ci induca, infine, a sentimenti di stupore e di gratitudine. In una mondo che vuole tutto programmato e sotto controllo, che pretende perfino di piegare la nostra libertà al comando degli algoritmi, in cui molti si lascianovincere dal conformismo, è difficile fare spazio allo stupore. In un mondo in cui ci si insegna a vivere in modo autosufficiente, senza dover nulla a nessuno, è difficile generare gratitudine. Eppure solo una novità inattesa può rompere il grigiore del tutto prestabilito e pienamente conforme, e questa novità, che è l’irruzione dell’amore eccedente di un Dio inatteso, deve essere salutata con stupore e gratitudine. Solo un dono può arricchire la nostra vita, aprirle orizzonti oltre le nostre possibilità. Solo l’irruzione di un Dio tra noi, di un Dio piccolo, che non invade, non si impone e non ci opprime, ma che chiede solo di essere accolto e amato, può dare ali di speranza alla nostra umanità.

​Grati per il bambino Gesù, dono di Dio per noi, impegniamoci a farci dono gli uni agli altri, perché nessuno resti senza vita».

Giuseppe cardinale Betori

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