Giustizia: Anm rifiuta confronto con Bonafede, non accetta sanzioni disciplinari a carico magistrati
ROMA – I magistrati non accettano di essere sanzionati per ritardi nelle indagini e nei processi. Vogliono continuare a indagare per quanto vogliono, contro chi vogliono, senza sanzioni. E guai a chi ricorda che esiste un principio di responsabilità per tutti, chi sbaglia paga, tranne i magistrati. Non è una situazione che può andare avanti troppo a lungo, la politica, tranne il Pd, è sotto scacco e non può agire e reagire.
L’Anm diserterà il tavolo con il ministro della Giustizia Bonafede. Lo annuncia lo stesso sindacato delle toghe in una nota chilometrica e autoassolutrice: «Siamo stati costretti, nostro malgrado, a comunicare al ministro della Giustizia che non parteciperemo al Tavolo tecnico convocato per il 26 febbraio e che, fino a quando nel testo del ddl saranno contenute previsioni di questo tipo, riteniamo di non poter avere alcuna interlocuzione e di non poter continuare a fornire il leale contributo fino ad ora prestato nell’elaborazione delle proposte di riforma. Ciò che rende inaccettabile il testo normativo nel suo complesso e che impedisce, allo stato, ogni possibilità di confronto e interlocuzione, è che tali previsioni sulla durata delle indagini e dei processi siano accompagnate dall’introduzione di ulteriori sanzioni disciplinari a carico dei magistrati».
L’Associazione Nazionale Magistrati spiega di essere «da sempre consapevole del fondamentale ruolo di interlocutore sulle proposte di riforma riguardanti il diritto sostanziale, il processo civile e penale e l’ordinamento giudiziario. Ha sempre offerto il proprio contributo di carattere tecnico, arricchito dall’esperienza concreta, maturata attraverso l’esercizio della funzione giurisdizionale, in condizioni, peraltro, sempre più critiche. Su questi presupposti, abbiamo finora partecipato, cercando di fornire il nostro contributo in maniera leale e costruttiva, ai tavoli tecnici convocati dal ministro della Giustizia. Abbiamo sostenuto le nostre idee, avanzato le nostre proposte, ascoltato le ragioni dei rappresentanti delle altre categorie, accettando che alcune delle nostre proposte non fossero accolte e che nei testi elaborati fossero contenute anche previsioni rispetto alle quali abbiamo argomentato il nostro motivato dissenso». Bontà loro.
L’Anm dà voce alle riserve: «Su due profili della riforma licenziata dal Consiglio dei Ministri abbiamo però espresso immediatamente la nostra più assoluta contrarietà, e puntualmente illustrato le numerosissime ragioni che ce li hanno fatti sempre definire irricevibili. Si tratta della semplicistica idea, apparentemente frutto di una visione ingenua del processo, di determinarne per legge la durata, trattando allo stesso modo vicende di complessità molto diversa e dimenticando che uno dei fattori della durata dei processi èanche lo scrupolo nell’accertamento dei fatti e, in ultima analisi, lanecessità di apprestare una piena tutela dei diritti dei cittadini, siano essi parti di un giudizio civile, imputati o persone offese. Frutto della stessa irrealistica idea di ottenere una riduzione dei tempi attraverso astratte e generalizzate previsioni di legge, è la nuova disciplina della durata delle indagini preliminari, accompagnata dalla pericolosissima sanzione processuale della ostensibilità degli atti di indagine, che avrà come inevitabile effetto il depotenziamento del contrasto alle forme più articolate e aggressive di criminalità, organizzata e non. Ma ciò che rende inaccettabile il testo normativo nel suo complesso e che impedisce, allo stato, ogni possibilità di confronto e interlocuzione, è – ribadisce la nota- che tali previsioni sulla durata delle indagini e dei processi siano accompagnate dall’introduzione di ulteriori sanzioni disciplinari a carico dei magistrati. Si tratta, nella sostanza, di una norma manifesto, di uno slogan che si traduce in un ingeneroso e immeritato messaggio di sfiducia nei confronti dei magistrati italiani, che cede alla facile tentazione di scaricare sui singoli le inefficienze del sistema che, come tali, sono, invece, esclusiva responsabilità della politica; e che, in modo disinvolto, rischia di suscitare, soprattutto nei magistrati più giovani, la tentazione di una risposta di giustizia di carattere difensivo e burocratico, ancora una volta con l’evidente conseguenza di non rendere un buon servizio ai cittadini. Queste, e tante altre, le ragioni che abbiamo illustrato nel corso dei recenti incontri avuti al ministero e che, purtroppo, nonostante una dichiarata attenzione e condivisione, sono rimaste, nella sostanza, del tutto inascoltate», conclude la nota motivando le ragioni del perché diserteranno il tavolo con il guardasigilli.
In definitiva, come al solito, o si fa come pretendono i magistrati o loro continueranno per la loro strada.