Serie A e coronavirus: un’emergenza gestita da dilettanti. Rimpiango Artemio Franchi
Rimpiango il passato: torno indietro di quasi cinquant’anni, quando l’Italia venne colpita dall’emergenza petrolifera. L’embargo decretato dall’OPEC nell’ottobre 1973 fermò le auto private negli Stati Uniti e in Europa, Italia compresa, dove presero il via le famose domeniche a piedi. Non si poteva usare la macchina. Il calcio venne salvato da Artemio Franchi, il più grande dirigente sportivo italiano, che convinse l’allora presidente del consiglio, il democristiano Mariano Rumor, a fare una deroga: autorizzare la circolazione degli autobus privati. Ovviamente ne beneficiarono anche tutte le altre attività: bastava organizzarsi e noleggiare il torpedone per andare in gita in gruppo. Direte: era un’emergenza diversa dall’infezione da coronavirus. Rispondo con certezza: no, c’erano uomini diversi a governare il Paese e il calcio. E l’esempio che umilmente ho fatto dimostra che per affronare le emergenze occorre capacità.
Il rinvio di cinque partite di serie A all’ultimo tuffo, dopo il braccio di ferro con la Lega di serie A fatto dalla Juventus, che aveva continuata a vendere i biglietti della partita con l’Inter nonostante la decisione di farla giocare a porte chiuse, è lo specchio di una gestione generale del coronavirus non da professionisti, ma da dilettanti. Il problema, ovviamente, nasce dal governo, ossia dall’avvocato Giuseppe Conte che, uscito dalle aule dell università e del tribunale, si è trovato di fronte a una situazione per lui imprevista e, forse, imprevedibile. In due giorni, con il maglione al posto della cravatta, in modo da offrire la gravità della situazione anche nell’abbigliamento, ha fatto il giro delle tv contribuendo ad elevare il tasso di panico. Atteggiamento seguito dal lancio di direttive contrastate da presidenti di regioni e sindaci. Con alcuni poveri prefetti in grande difficoltà, stretti in mezzo alle indicazioni governative e le contrastanti decisioni di mministratori locali, responsabili in prima persona delle scelte sanitarie sul territorio. Risultato? Caos totale. Con la gente, soprattutto nell’operoso e concreto Nord Italia, che non ci ha capito più nulla.
Da qui al caos del calcio il passo è stato brevissimo. La serie C – anche per le vicende della squadra di Piancastagnaio, la Pianese, con giocatori e operatore tecnico infettati – ha deciso di femarsi fino all’8 marzo. La serie A, forse per non infastidire le televisioni depositarie dei diritti sulle partite, aveva cercato una strana via di mezzo: non fermare il campionato ma far giocare alcune gare a porte chiuse. Penalizzando, evidentemente, alcuni club che avrebbero dovuto rinunciare all’incasso: Juventus in primis. Che si è ribellata. Mentre la Fiorentina aveva fatto buon viso a brutto scherzo, partendo venerdì per Udine e preparandosi, anche psicologicamente, al difficile match a porte chiuse. Fiorentina che, poi, si è sentita chiedere di giocare la partita lunedì 2 marzo, a porte aperte. Dovendo restare 4 giorni in Friuli. Oppure di rinviare la partita all’11 marzo. Joe Barone, italoamericano molto pratico come il presidente, Rocco Commisso, ha fatto la faccia feroce. Allora la Lega ha decretato: si rinviano tutte le partite a porte chiuse al 13 maggio, spostando al 20 la finale di Coppa Italia. Scelta da Arlecchino: perchè altre squadre, soprattutto la Lazio impegnata nella corsa allo scudetto, è dovuta scendere in campo contro il Bollogna. Mi chiedo: ci voleva un genio per decidere, con ragionevole anticipo, il rinvio di tutte le partite di serie A senza bracci di ferro e senza costringere le squadre a viaggi inutili? Ma non basta: si fa giocare l’Atalanta a Lecce, con il prefetto costretto a far controllare, praticamente uno per uno, i tifosi bergamaschi al seguito della squadra di Gasperini. E si fa giocare la serie B: con il Venezia e il Chievo Verona impegnati in casa, nel Veneto colpito dal contagio, dove le scuole resteranno chiuse fino all’8 marzo.
Ci sarebbero voluti, ecco quello che penso, governanti di professione, capaci di non far precipitare l’Italia nella crisi sanitaria ed economica (con la previsione di un meno 1% o addirittura meno 3% nel Pil del primo trimestre 2020) e nelle scelte da emergenza da arlecchino. E ci volevano dirigenti del calcio autorevoli, pronti a prendere decisioni nell’interesse generale. Juventus-Inter, ma anche Udinese-Fiorentina, dovevano essere viste in tutto il mondo. Dall’altra parte dell’Atlantico, dove le autorità hanno già sconsigliato i viaggi verso l’Italia, accenderanno la televisione e, improvvisamente, non vedranno niente. E siccome nessuno li ha avvisati, saranno autorizzati a pensare che anche il calcio si è fermato perchè la situazione si è aggravata. Il risultato di una gestione dell’emergenza non da professionisti. Ecco prchè rimpiango un grande dirigente come Artemio Franchi.