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Scoppio del Carro: la spada di Pazzino de’ Pazzi contro il coronavirus

Lo Scoppio del Carro a Firenze

Sto ripensando, in questo Sabato Santo 2020, alle interpretazioni da dare al volo della colombina per lo Scoppio del Carro. Ricordo ancora con sgomento che nella domenica 10 aprile 1966 la colombina cadde dal cavo d’acciaio: con un brivido sulle schiene dei fiorentini. Ma c’era ancora gente che lavorava in campagna e si pensò a un raccolto non florido. Invece, il 4 novembre venne l’alluvione. Volo interrotto anche nel 1984. Conseguenze: a gennaio 1985 la gelata che distrusse gli ulivi e, a fine agosto, il gran caldo che seccò la sorgente dell’Arno. Con Firnze assetata. E salvata dal tubone della protezione civile, capace di portare acqua dai Renai di Signa fino all’acquedotto di Mantignano. Altro intoppo nella Pasqua 1987: e inverno crudo nel 1988.

L’anno scorso, Pasqua 2019, ricordo bene, la colombina era stata praticamente perfetta. Accensione esemplare, con il fuoco sacro portato nella notte del sabato dalla chiesa dei Santi Apostoli. Contento il cardinale Betori, contento il sindaco, contenti tutti. Come si spiega allora il flagello del coronavirus che arriva a cancellare gli scoppi del nostro Brindellone nella Pasqua 2020? Sempre frugando in ricordi freschi, trovo la colombina pigra, capace d’incendiare il Carro, però senza l’autonomia per tornare indietro, due anni fa. Pasqua 2018. Quella colombina rimase appiccicata al Carro. Hai visto mai che il cattivo presagio può arrivare anche a scoppio… ritardato? Non mi capacito. Soprattutto del fatto che, nato cresciuto e peggiorato a Firenze, non avevo mai vissuto una Pasqua senza lo Scoppio del Carro. Mi ci portarono, la prima volta, nel 1951. Sono di giuno, dovevo compiere un anno. In famiglia hanno sempre raccontato che strepitavo se non venivo accompagnato a vedere il Brindellone. Abitavo in via del Corso. Due passi. Poi avrei strepitato nella redazione de La Nazione se non fossi stato incaricato, per decenni, di raccontare lo Scoppio del Carro sul giornale, dopo ogni Pasqua. L’ultima volta nel 2013, quando Matteo Renzi, sindaco, volle portarsi via la colombina. Fu lei a catapultarlo, pochi mesi dopo, a Palazzo Chigi? Poi ho continuato a raccontare lo Scoppio del Carro qui, su Firenze Post, e come commentatore televisivo: prima per Italia 7, quindi per Rtv38.

Ecco, lo confesso: in questa Pasqua 2020 mi manca realmente qualcosa. Il mio caro amico Luciano Artusi, già direttore del corteo del Calcio storico, e profondo conoscitore delle tradizioni di Firenze, mi racconta che erano ovviamente tristi i giorni di Pasqua durante la guerra. Segnati da altri scoppi. E i fiorentini aspettavano la pace anche per riappropriarsi di quella tradizione che, fra storia e leggenda, va avanti da quasi mille anni. Infatti, fu tra il 1095 e il 1099 che Pazzino de’ Pazzi tornò dalla prima crociata con tre pietre focaie raccolte nel Santo Sepolcro di Gerusalemme. Tre pietre che sarebbero state donate a Pazzino da Goffredo di Buglione, comandante delle truppe cristiane, in omaggio al suo valore. Perchè proprio il Nostro sarebbe stato il primo a salire sulle mura, aprendo il varco decisivo verso la vittoria e la conquista della città. Ma un altro fiorentino, questa volta non nei panni del guerriero, ma in quelli di un rigoroso professore di storia medievale, Franco Cardini, alcuni anni fa scrisse la sentenza: non c’è mai stato un crociato fiorentino chiamato Pazzino de’ Pazzi. Ohihoi, addio gloria e leggenda? No, un altro profondo conoscitore di vicende fiorentine, Eugenio Giani, già assessore e da tempo presidente del Consiglio regionale della Toscana, arrivò a sfidare il Cardini con un’altra robusta verità: il nome di Pazzino, e con esso le sue gesta di crociato, sarebbe stato cancellato dopo la congiura del 1478, quando Lorenzo Il Magnifico vendicò il fratello Giuliano con la damnatio memoriae della famiglia Pazzi. Completamente distrutta. Soprattutto in qualsiasi cosa che l’avesse ricordata.

Ha ragione Cardini? Ha ragione Giani? Per Firenze, e naturalmente anche per me, Pazzino resta il fiorentino salito per primo sulle mura di Gerusalemme, con l’implacabile spada, forgiata da un artigiano di queste parti. E mi auguro che quella magica spada venga idealmente roteata anche in questa Pasqua senza scoppi per sconfiggere il nemico, mortale e invisibile, che ci ha rovinato la festa. Che ci vendichi, quella spada. Per far sì che non si parli più del malefico coronavirus, o Covid-19 come lo appellano gli scienziati. Che cada su di lui, arrivato non da Gerusalemme ma dalla Cina, quella damnatio memoriae capace, se non proprio di farcelo dimenticare, di ricordarlo come un incubo sbiadito. Colpito e distrutto dai boati futuri dello Scoppio del Carro. E dal volo della colombina finalmente carica di buoni presagi. Perchè, davvero, un se ne può più.


Sandro Bennucci

Direttore del Firenze PostScrivi al Direttore

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