Coronavirus: Confesercenti e Confcommercio chiedono la riapertura dei mercati, sono sicuri
FIRENZE – Due mesi di stop sono davvero troppi per le piccole e piccolissime imprese del commercio ambulante. Chiediamo a Sindaci e Regione Toscana di autorizzare i mercati, per la parte alimentare e non, dal 4 maggio, altrimenti il 35% delle nostre attività potrebbe non riaprire mai più. L’appello parte dai presidenti regionali di Fiva-Confcommercio Rodolfo Raffaelli e di Anva-Confesercenti Maurizio Innocenti.
Attualmente in Toscana solo alcuni Comuni hanno autorizzato lo svolgimento dei mercati, solo per la parte che riguarda i prodotti alimentari, frutta e verdura. Ma in questo momento di grande paura i clienti dei nostri banchi, spesso anziani, sono diminuiti molto e gli incassi languono. Per il settore non alimentare, poi, il blocco è totale ovunque, dopo il DPCM dell’11 marzo, spiegano in una nota congiunta i due presidenti degli ambulanti toscani.
La maggior parte delle imprese del commercio ambulante è poco strutturata e di piccole dimensioni, spesso è a gestione familiare. Insomma, non c’è la forza finanziaria e psicologica per sopportare oltre questo stop forzato degli incassi. Anche perché nel frattempo le spese di gestione continuano: siamo arrivati all’assurdo di dover pagare la tassa di occupazione del suolo pubblico a Comuni che hanno sospeso i mercati, fanno sapere Raffaelli e Innocenti, che chiedono dunque alle Amministrazioni Comunali di sospendere la Cosap.
Ma la categoria chiede soprattutto la riapertura dei mercati. Si svolgono all’aperto e possono garantire standard elevati di sicurezza e di rispetto del distanziamento sociale. Noi siamo disposti a fare la nostra parte perché le regole siano rispettate da tutti, operatori e clienti”.
La salute è anche una nostra priorità, ribadiscono da Fiva-Confcommercio e Anva-Confesercenti, “purtroppo il Coronavirus non scomparirà a breve, quindi dobbiamo trovare il modo di conviverci senza rinunciare a vivere e lavorare. Le autorità devono aiutarci a gestire questa emergenza nella concretezza, non possono limitarsi a chiudere le nostre imprese senza farci arrivare aiuti tangibili. Ci vogliono contributi a fondo perduto, ad esempio, i soldi per indebitarci ancora di più non ci servono. E poi serve la certezza di poter lavorare, non chiediamo la carità”.