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L’emergenza nei campi profughi del mondo può aggravare il pericolo di pandemia

Mentre in Europa si lotta per debellare la pandemia che, soprattutto in Italia e Gran Bretagna, non sembra voler mollare la presa, provocando decine di migliaia di morti, qualcuno si preoccupa giustamente, nella totale assenza delle inutili autorità sanitarie e mondiali (Oms e Onu in testa), di verificare quali riflessi possa avere sul futuro sviluppo la situazione di abbandono delle persone chiuse nei campi profughi nel mondo.

Se ne preoccupano soprattutto le organizzazioni umanitarie e la Chiesa cattolica, e una completa disamina della situazione si trova sul giornale cattolico avvenire, in un articolo a firma di Marta Ottaviani.

Nei campi profughi sparsi nel mondo, dalle isole greche al Bangladesh, la situazione è simile: sovraffollamento, abbandono e mancanza di cure aggravano la pandemia.

II numero di migranti solo sulle cinque isole greche di fronte alla Turchia (Lesbo, Samos, Kos, Chios, Leros), supera le 40mila unità. Il campo più sovraffollato è quello di Moria (nome proprio adatto), a Lesbos, concepito per accogliere non più di 3mila persone e che ne contiene oltre 14mila, che vivono in condizioni igieniche oltre il precario. Non va meglio sulla rotta balcanica. I campi fuori dalla città di Belgrado in Serbia e a Bihac e Velika Kladusa, in Bosnia Erzegovina, ospitano attualmente oltre 2.000 migranti ormai di fatto in stato di segregazione, ammassati all’inverosimile nei container, in modo tale che l’infezione non esca da quegli spazi angusti.

Anche fuori dal Vecchio Continente le immagini e le notizie che arrivano sono desolanti. In Bangladesh c’è il Cox’s Bazar, uno dei campi profughi più grandi del mondo. Ci vivono i Rohingya, la minoranza musulmana scappata dalle persecuzioni in Myanmar: 40mila persone per chilometro quadrato per un totale di oltre 800mila che, dopo essere scampati alla violenza, oltre a patire la fame e vivere di stenti adesso devono anche stare attenti che il coronavirus non si diffonda fra loro.

In Yemen non ci sono ancora casi di Covid-19 accertati, ma il timore è che lì l’epidemia possa essere ancora più devastante perché, al sesto anno di guerra, solo la metà degli ospedali è ancora attiva e ha un numero di respiratori molto risicato.

Anche in America Latina ci sono diversi campi per rifugiati, soprattutto lungo la frontiera fra il Messico e gli Stati Uniti, dove vengono inviati i richiedenti asilo negli States, a cui si devono aggiungere quelli nei Paesi confinanti con il Venezuela, in particolare in Colombia e Brasile. Storie di povertà e privazione alle quali adesso si è aggiunta la paura che la situazione sanitaria possa precipitare.

Con l’arrivo della bella stagione, la Grecia teme che riprendano gli sbarchi in massa dalla Turchia, dove il tasso di contagio da Covid19 è ancora molto alto e la situazione fra i rifugiati non è sotto controllo. Già nel fine settimana scorso, secondo la Mezzaluna, un barcone con 48 persone a bordo sarebbe stato respinto mentre cercava di raggiungere l’isola di Lesbo. Atene due settimane fa, ha già denunciato un tentativo di parte di Ankara di inviare migranti affetti da coronavirus, anche attraverso la frontiera di terra.

Mentre sulla rotta del Mediterraneo sono ripresi gli sbarchi in Sicilia, 500 arrivi negli ultimi giorni, col grave rischio di diffusione del virus. Ma almeno altrove si adottano limitazioni e rimedi, da noi si aprono le braccia a tutti e si calano le brache di fronte alle Ong, senza alcun limite, nell’assenza completa dell’inutile, anzi perniciosa Ue, assoggettata ormai al volere della Germania e dei suoi satelliti interessati, in primis l’Olanda..


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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