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Riforma della magistratura: le linee guida del progetto del ministro Bonafede

Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede

Il ministro Bonafede, uscito indenne dalla bufera che lo ha quasi travolto per le scarcerazioni dei mafiosi e miracolato da Renzi, che ha avuto un ruolo decisivo per bocciare la mozione di sfiducia nei confronti del guardasigilli, annuncia la riforma epocale della magistratura, ormai indispensabile dopo quanto è emerso dal caso Palamara e dagli intrighi delle toghe per accaparrarsi gli incarichi di vertice e per intervenire pesantemente sulla politica, soprattutto di centro destra.

In un’intervista alla Stampa Bonafede annuncia solennemente: «Basta con la commistione tra toghe e politica. Il presidente Mattarella ha ragione. Mi sto muovendo per combattere le degenerazioni del correntismo da un lato, ma anche per alzare un muro tra politica e magistratura dall’altro. In maggioranza c’è sintonia. La norma simbolo della riforma prevede che i magistrati che entrano in politica non possano tornare indietro una volta fatta la scelta. Stiamo pensando a delle limitazioni anche per chi si candida senza essere eletto. Il magistrato non deve solo essere terzo. Deve anche apparire tale».

La riforma ha 4 gambe: nomine giudiziarie, carriere dei magistrati, rapporti con la politica, elezione del Csm.

La prima nasce direttamente dal caso Palamara. Obiettivo: modificare l’iter delle nomine giudiziarie, imponendo al Csm l’applicazione dei principi di trasparenza come per ogni normale procedura amministrativa, il rigoroso ordine cronologico (per d is incentivare accordi a pacchetto tra correnti), l’audizione dei candidati (per Roma, un anno fa, l’aveva chiesta invano Mattarella), il parere degli avvocati e dei magistrati del territorio, un’età più matura e una professionalità certificata per i posti più ambiti, una limitazione della discrezionalità nella valutazione dei curricula (da cui nascono caterve di ricorsi al Tar).

Sulle carriere, la novità «a effetto» è la riduzione da quattro a due, nell’intera carriera, delle finestre per passare da pm a giudice e viceversa. Separazione di fatto delle carriere, ma non rivoluzione. Il Csm già privilegia la continuità di funzioni: per un posto di Procuratore, è meglio vista un’intera carriera da pm piuttosto che una intervallata da un’esperienza da giudicante. Alla faccia della sventolata «cultura della giurisdizione».

Previste regole più stringenti per l’accesso in Cassazione, terreno di scontro/accordo tra correnti (nel Csm ancora fumano gli ardori dell’ultima infornata), e per le valutazioni di professionalità, sovente improntate al «todos caballeros».

Cambia anche il giudizio disciplinare: più oneri per i capi degli uffici, possibile riabilitazione a fini di carriera in caso di sanzioni lievi. La questione delle «porte girevoli» tra politica e magistratura (ordinaria, amministrativa e contabile) viene affrontata ampliando le ipotesi di ineleggibilità. La novità (questa sì, storica) è che i magistrati che hanno ricoperto incarichi di premier, ministri, parlamentari nazionali o europei, presidenti assessori o consiglieri regionali, sindaci di città con oltre 100mila abitanti non indosseranno più la toga: cessato il mandato, svolgeranno funzioni amministrative a parità di stipendio. Chi si candida senza essere eletto non potrà per tre anni lavorare nello stesso ufficio giudiziario di prima, né in altro ufficio legato al collegio elettorale, oltre al divieto di concorrere per posti direttivi. Sosta ai box per 4 anni anche per gli ex membri del Csm e per 2 anni per i magistrati (circa 200) rientrati dal «fuori molo» negli staff di Palazzo Chigi, ministeri e Regioni.

Quanto al Csm, la bozza prevede l’aumento dei consiglieri da 24 a 30 (invariata la proporzione: due terzi togati, un terzo eletti dal Parlamento). Cambia il sistema elettorale, che diventa un maggioritario vagamente francese: non più collegio unico nazionale, ma 20 collegi territoriali senza liste e con voto personale. Se al primo turno nessuno prende il 65%, si va al ballottaggio a due.

Tante belle idee, ma siamo sicuri che non cambierà quasi nulla, e la magistratura continuerà ad essere un potere, e non un ordine e a procedere e colpire secondo discrezione, basandosi sul principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, applicato ad libitum dai singoli magistrati.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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