Cardinal Betori, Firenze riscopra la sua missione nel mondo. L’omelia di San Giovanni
FIRENZE – Firenze è chiamata a una vocazione universale, a guardare oltre i propri confini, a sentirsi dono per tutti i popoli del mondo, segno permanente del valore dell’umano nella sua integralità. Lo ha detto il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, proclamando nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore l’omelia della messa nella solennità di san Giovanni Battista, patrono della città.
«Riconoscere e vivere la nostra missione è condizione della nostra felicità. Vale anche per una città, per la nostra Firenze. Di questo era consapevole il venerabile Giorgio La Pira”, ha ricordato il card. Betori citando un passo del ‘sindaco santo’: Firenze ha una propria universale missione nel sistema della civiltà umana e cristiana: essa inserisce, infatti, nel dinamismo così attivo del mondo moderno un elemento equilibratore di riposo, di bellezza, di contemplazione, di pace: essa costituisce per gli uomini di tutti i continenti come una riserva pura, un’oasi delicata, che ha per tutti un dono di elevazione, di proporzione, di misura». Ha commentato l’arcivescovo: «Non pretendo che in queste frasi sia rintracciabile tutto il contenuto di un progetto di rinascita della città, ma certamente buona parte di esso. Lo scandiscono parole che difficilmente altri si possono attribuire quale loro patrimonio, come invece possiamo fare noi fiorentini: riposo, bellezza, contemplazione,pace, elevazione, proporzione, misura. E tutto intrecciato nella concretezza di religione, famiglia, lavoro, cultura e cura della persona. Questo edifica una comunità con una forma davvero umana, e quindi divina».
Proviamo a passare al vaglio di queste dimensioni e di questi luoghi di vita le scelte urbanistiche, economiche, imprenditoriali, sociali che si dovranno fare nei prossimi mesi. Pronti a rinunciare a tutto ciò che magari può portare profitto, ma entra in conflitto con questi principi superiori, che sono i lineamenti del volto di Firenze, ha osservato Betori. «Tra le parole di La Pira mi interroga particolarmente il riferimento alla misura, che ho sentito, fin dal mio primo giorno fiorentino, come la chiave con cui interpretare il genio di questa città – ha continuato l’arcivescovo – Proviamo allora a pensare agli eccessi da cui fuggire, nei comportamenti sociali, nella pur doveroso confronto dialettico, nel rapporto tra le persone e le cose, nel creare spazi di vita dignitosa per tutti. Misura non significa limitare il nostro desiderio, quanto piuttosto riconoscerne la giusta dimensione. Su questa strada auspico che tutti si possa ritrovare la misura dell’infinito, che è la misura del cuore dell’uomo e che fu il carattere della prospettiva di Filippo Brunelleschi, ciò che gli permise di osare, giusto seicento anni fa, il progetto di questa cupola, misurandola di braccio in braccio fino al cielo».
«Uscendo dall’angoscia dei mesi di crescente diffusione della pandemia, sentiamo il bisogno di ripensarci in modo nuovo, di staccare dal nostro passato, perché proprio il tempo delle limitazioni imposte dal contrasto alla circolazione del virus ha permesso di fare un discernimento – speriamo profondo quanto ce n’è bisogno – tra ciò che è davvero essenziale nella vita umana e ciò che invece l’appesantisce perché non appartiene alla sua autenticità. Troppe cose che sembravano irrinunciabili ci sono apparse vacue, e qui possiamo mettere tutto il mondo del consumismo, mentre di altre abbiamo capito quanto fossero indispensabili, e penso anzitutto alle relazioni tra le persone – ha aggiunto Betori – Mi fermo qui, ma invito ciascuno a un esame di coscienza al riguardo: cosa ci è mancato e di che cosa non abbiamo sentito la mancanza? Se fatto con sincerità,questo esame dovrebbe condurci alla nostra vera identità di uomini e di donne».