No al carcere per i giornalisti. Ma la Consulta rinvia la decisione
La Corte Costituzionale, con la recente ordinanza n. 132/2020, nel valutare due questioni di legittimità dell’art. 595 c. 3 c.p. e dell’art. 13 L. 8/2/1948 n. 47, recante Disposizioni sulla stampa – nella parte in cui prevedono la pena della reclusione per il delitto di diffamazione aggravata commessa a mezzo stampa – afferma come necessaria e urgente una rimeditazione del bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale con particolare riferimento all’attività giornalistica.
La Consulta premette che la libertà di manifestazione del pensiero costituisce un diritto fondamentale riconosciuto come «coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione», una «pietra angolare dell’ordine democratico» e un «cardine di democrazia nell’ordinamento generale». Pertanto, l’attività giornalistica merita di essere «salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o indiretta», che possa indebolire la sua vitale funzione nel sistema democratico, ponendo indebiti ostacoli al legittimo svolgimento del suo ruolo di informare i consociati e di contribuire alla formazione degli orientamenti della pubblica opinione, anche attraverso la critica aspra e polemica delle condotte di chi detenga posizioni di potere.
Per altro verso, anche la reputazione della persona costituisce un diritto inviolabile e una componente essenziale del diritto alla vita privata. Un diritto connesso a doppio filo con la dignità della persona e suscettibile di essere leso dalla diffusione di addebiti non veritieri o di rilievo esclusivamente privato.
Secondo la Corte, l’attuale punto di equilibrio tra la libertà di informazione svolto dalla stampa e la tutela della reputazione individuale, soggetto com’è agli assestamenti dovuti alle frontiere mobili dei mutamenti sociali, politici e culturali, è divenuto inadeguato. Tale circostanza richiede una rimodulazione della disciplina, in grado di coniugare le esigenze di garanzia della libertà giornalistica – che non deve essere dissuasa per timore della sanzione privativa della libertà personale – con le ragioni di tutela della reputazione delle vittime – in termini di sofferenza psicologica e di pregiudizio alla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica – da eventuali abusi, oggi amplificati dai social networks e dall’avvento di internet.
Tuttavia, l’individuazione di tale bilanciamento spetta al legislatore previa individuazione di complessive strategie sanzionatorie che contemplino: il ricorso a sanzioni penali non detentive, rimedi civilistici e riparatori adeguati, come l’obbligo di rettifica, ed efficaci misure di carattere disciplinare; relegando la pena detentiva alle ipotesi che assumano connotati oggettivi e soggettivi di eccezionale gravità, come l’istigazione alla violenza o all’odio.
In conclusione, la Corte, ha rinviato la decisione di un anno, in modo da consentire al Parlamento di approvare una nuova disciplina in linea con i principi costituzionali.