Governo limita libertà fondamentali dei cittadini da 10 mesi, con atti di dubbia legittimità. Il Capo dello Stato riflette
Il vicepresidente del Senato, il leghista Roberto Calderoli, invoca l’intervento del Capo dello Stato, ritenendo che «tutto il complesso dei provvedimenti antipandemia del governo giallorosso abbia calpestato e limitato alcune libertà e diritti fondamentali, tutelati dalla Carta Costituzionale. In particolare, con l’ultimo decreto legge, il governo avrebbe cancellato, sostiene Calderoli, anche gli articoli 14 e 17 della Costituzione ovvero l’inviolabilità del domicilio (articolo 14) e il diritto dei cittadini di riunirsi pacificamente e senza armi (articolo 17)».
In effetti, come ricorda il vicepresidente del Senato, «le uniche riunioni che la nostra Costituzione prevede di poter limitare sono esclusivamente quelle in luogo pubblico per motivi di sicurezza o incolumità pubblica e quindi non riferibili al primo comma: il pranzo di Natale è una riunione pacifica, che si svolge in un luogo privato e in un domicilio inviolabile e non vincolabile».
Con misure straordinarie ed eccezionali, prese per la tutela della salute, si è arrivati alla lesione di diritti civili, costituzionalmente garantiti, al pari del diritto alla salute. Si tratta dunque di valutare il bilanciamento di tali diritti per valutare la legittimità o meno del comportamento di Conte e compagni.
Limitiamoci qui a esaminare se il Governo possa intervenire, limitando gravemente diritti fondamentali, con una successione di Decreti Legge che sostanzialmente, con la loro ripetizione, violerebbero il principio di straordinarietà e temporaneità degli effetti che sono fondamento di tali provvedimenti.
Infatti l’uso dei decreti legge, pur corretto in quanto previsto in Costituzione proprio per far fronte a casi straordinari di necessità e d’ urgenza ed in quanto rende possibile il controllo preventivo del Presidente della Repubblica e quello successivo delle Camere e della Corte Costituzionale, appare uno schermo fragile per supportare misure così fortemente restrittive. Soprattutto perché in concreto, e fin dal marzo 2020, quindi da 10 mesi, questi atti normativi si stanno poi sostanzialmente risolvendo in una delega in bianco al Governo, cui è stato demandato il potere di scegliere e calibrare le limitazioni delle libertà fondamentali con norme di rango subsecondario destinate a fornire sostanza e contenuto a disposizioni di fonte primaria più generali.
Come è stato opportunamente rilevato da alcuni commentatori tale delega, nella prassi di Conte e del governo giallorosso, ha assunto i caratteri di una sorta di autodelega in favore del solo Presidente del Consiglio, per di più immune da ogni forma di intervento del Capo dello Stato, previsto invece per l’emanazione dei regolamenti adottati dall’organo governativo collegiale.
Ben diverso sembra invece il quadro previsto dal dettato costituzionale, che prevede la riserva rafforzata di legge per le limitazioni dei diritti di libertà individuale, a partire da quella di circolazione sia all’interno che all’esterno del territorio nazionale (art. 16), e anche imponendo al solo legislatore statale di disporre in materia di ordine pubblico e sicurezza (art. 117, comma 2, lett. h).
La realtà ci consegna una sospensione dei diritti fondamentali a scadenza incerta , perché ripetuta nel tempo, a colpi di decreti legge e di provvedimenti amministrativi, collegati poi a controlli ferrei che, in passato, si sono concretizzati nell’inseguimento con droni e pattuglie di carabinieri di cittadini che si trovavano sulle spiagge o nell’individuazione di riunioni familiari nei terrazzi delle abitazioni. Mi sembra che un assetto democratico possa difficilmente conciliarsi con uno Stato militarizzato e onnipresente, come quello organizzato da Conte e soci, che domina le nostre vite e i nostri spazi esistenziali, scatenando controlli di Forze dell’ordine e di militari, degni di miglior causa.
E’ stato evocato da alcuni costituzionalisti il pericolo di eclissi delle libertà costituzionali, visto che si tende a far prevalere soltanto l’emergenza valutata unilateralmente dal governo e dai suoi esperti. Ed è dunque legittimo il dubbio che la disciplina prodotta per contrastare l’emergenza sanitaria possa derogare in modo così forte ai principi costituzionali e se dinanzi ad una emergenza siffatta sia giustificata l’adozione per via amministrativa di misure dirette a farvi fronte, ispirate appunto alla logica dello stato di necessità.
Come ricordava Cesare Mirabelli in un recente intervento, le istituzioni non vanno in quarantena e continuano a svolgere pienamente le loro funzioni. E se è vero che nessun diritto è più fondamentale del diritto alla vita e alla salute, è tuttavia altrettanto vero che la centralità del Parlamento non può essere dimenticata, affidando il governo dell’emergenza alle quotidiane determinazioni e conferenze stampa del Capo del Governo e dei suoi esperti. Che ne pensa l’inquilino del Colle? Riflette, ma fino a quando?