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Accoglienza ai migranti e politiche europee, l’approccio di Draghi

Nelle dichiarazioni programmatiche del premier sono passate quasi inosservate alcune affermazioni, riferite alla politica dell’immigrazione, che sembrano tracciare una rotta diversa da quella seguita dal governo giallorosso, volta a un’accoglienza indistinta e indiscriminata, il che ha significato porti aperti e tutti gli arrivati curati e mantenuti dal governo.

Il passaggio più significativo, spiccatamente politico, Draghi lo ha espresso al Senato: «Altra sfida sarà il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati».

Visto che non se ne è parlato molto in tempi di Covid, ricordiamo che il Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo citato da Draghi è stato presentato lo scorso 23 settembre dalla Commissione Europea ed è stato definito un nuovo inizio della politica europea in questo settore controverso.

Dal 2019, anno di insediamento della Commissione Von der Leyen, si è provato a regolare meglio la materia, traducendo le direttive in atti giuridici. In nove atti normativi infatti sono state date indicazioni e stabilita una rigida tempistica per le procedure d’accoglienza. Ma ancora non si è provveduto alla modifica essenziale, quella del Trattato di Dublino che attribuisce al Paese di primo arrivo l’obbligo dell’accoglienza del richiedente asilo. Una norma che ha grandemente inguaiato l’Italia e la Grecia.

Per valutare con attenzione la portata dell’iniziativa Ue, è utile ricordare che annualmente arrivano nell’Unione, in modo irregolare, dai 2 milioni del 2011 ai 150.000 del 2019. Ma solo alcuni degli arrivati avanzano poi domanda di protezione e addirittura appena un terzo di coloro ai quali la domanda è negata, vengono in seguito allontanati.

Secondo le nuove regole l’Italia, in virtù del nuovo Patto, dovrebbe aumentare la capienza dei propri centri – hotspot previsti dall’Ue, di ben 7 volte, come emerso da un paper di EuroMed Rights, e addirittura di 50 volte in anni di flussi più intensi come accaduto nel 2016.

Critiche al Patto sono giunte da diciotto Associazioni umanitarie, favorevoli ai migranti. In un documento di analisi promosso da Asgi, Intersos, Mdm, Medu, Msf, Sanita’ Di Frontiera e Simm e rivolto alle istituzioni e ai governi europei, si sostiene che il provvedimento rischia di ingrossare il modello dei grandi centri di accoglienza, che hanno presentato rilevanti criticità, come avvenuto ad esempio nel mega hotspot di Moria, sull’isola greca di Lesbos che, a fronte di una capienza di 3000 persone ne conteneva 12mila prima di essere dato alle fiamme dagli ospiti.

Draghi dovrà intervenire anche su questo punto, chiedere una regia comune europea che non scarichi solo su alcuni Paesi il gravoso compito dell’accoglienza. Un riferimento che il premier italiano ha fatto palesemente, quando ha osservato che «occorrerà anche consolidare la collaborazione con Stati con i quali siamo accomunati da una specifica sensibilità mediterranea e dalla condivisione di problematiche come quella ambientale e migratoria: Spagna, Grecia, Malta e Cipro». Obbligando la neghittosa e imbelle Ue a creare un meccanismo di ripartizione obbligatoria dei migranti, nel presupposto che le frontiere di Malta, Grecia e Italia, che sopportano il maggior peso degli arrivi, sono frontiere dell’Europa e non solo frontiere nazionali. Ci hanno provato, con scarsi risultati e scarso peso, i governi Renzi, Gentiloni e Conte 1 e 2. Auguriamo a Draghi di avere più successo, vista la considerazione e il prestigio di cui gode in Europa, ma ci permettiamo di avanzare qualche dubbio. Certi egoismi sono duri a morire.

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