Marò: l’India chiude il caso (l’Italia ancora no) Lo sfogo delle mogli di Latorre e Girone
ROMA – E’ finita con l’India. Ora dovrà pronunciarsi la giustizia italiana. Ma non mancano polemiche, sfoghi e attacchi alla politica nostrana da parte delle moglie dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. La Corte Suprema indiana ha ordinato la chiusura di tutti i procedimenti giudiziari nel Paese a carico dei due Marò coinvolti nella morte di due pescatori indiani nel 2012. Lo riporta il giornale indiano in lingua inglese The Hindu. «Chiusi tutti i procedimenti giudiziari in India nei confronti dei nostri due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Grazie a chi ha lavorato con costanza al caso, grazie al nostro infaticabile corpo diplomatico. Si mette definitivamente un punto a questa lunga vicenda», scrive su twitter il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
Giustizia italiana – Ma la vicenda non è chiusa definitivamente. Verranno ascoltati nelle prossime settimane in Procura, a Roma, Latorre e Girone accusati di omicidio volontario per la morte due pescatori in India nel 2012. Per questa vicenda a piazzale Clodio è aperto un procedimento da nove anni. Il procedimento è affidato al sostituto procuratore Erminio Amelio, che in questi mesi ha analizzato gli atti inviati dal Tribunale internazionale dell’Aja – che nel luglio del 2020 ha deciso in favore dell’Italia la competenza giurisdizionale – per poi procedere alla conclusione delle indagini che potrebbe arrivare in estate.
Moglie di Latorre – «Da 9 anni sono costretta a parlare a nome di mio marito. A lui è stato fatto esplicito divieto di parlare pena pesanti sanzioni. Non può nemmeno partecipare a qualsiasi manifestazione pubblica. È vincolato al segreto. È ora di chiedersi perché le autorità militari vogliono mantenere il segreto su ciò che sa e vuol dire. Quello che so è che per la politica italiana siamo stati carne da macello. Presto Massimiliano si presenterà alla procura di Roma». Così Paola Moschetti, moglie di Massimiliano Latorre, sulla Corte Suprema indiana che ha ordinato la chiusura dei procedimenti a carico del marito e di Salvatore Girone.
Moglie di Girone – «Interessante leggere i ringraziamenti del Ministro Di Maio nei confronti di chi ha lavorato sodo, ma prima di tutti è importante ringraziare i due soldati che si sono sacrificati alla sottomissione indiana per tanti anni che mai più gli saranno restituiti”, dice Vania Ardito, moglie di Salvatore Girone. «Adesso – aggiunge – auspichiamo in una rapida risoluzione per la conclusione definitiva del caso in Italia. Abbiamo appreso ufficiosamente la notizia – prosegue la moglie del fuciliere – finalmente si è concluso un caso che si sarebbe dovuto concludere in nove giorni ma ci sono voluti più di nove anni. Aspettiamo di ricevere notizie ufficiali – conclude – per conoscere nei dettagli gli esiti della sentenza ancora oscuri».
La vicenda – La Corte Suprema indiana aveva rinviato la chiusura del caso lo scorso 19 aprile perche’ l’indennizzo di cento milioni di rupie (circa 1,1 milioni di euro) che l’Italia doveva versare alle famiglie delle vittime non era stato ancora depositato. Nel corso dell’udienza del 19 aprile, che era stata presieduta dallo stesso presidente della Corte – Sharad Arvind Bobde – il procuratore generale dello Stato, Tushar Mehta, aveva dichiarato che l’Italia ha avviato il trasferimento di denaro, aggiungendo però che la somma non era ancora disponibile. Il nove aprile scorso la Corte aveva deciso che il caso sarebbe stato chiuso solo dopo il deposito del risarcimento pattuito. I due militari erano accusati di aver ucciso nel 2012 due pescatori indiani, al largo delle coste del Kerala: i fucilieri, che erano impegnati in una missione antipirateria a bordo della nave commerciale italiana Enrica Lexie, videro avvicinarsi il peschereccio Saint Antony e, temendo un attacco di pirati, spararono alcuni colpi di avvertimento in acqua. A bordo della piccola imbarcazione, però , morirono i due pescatori Ajeesh Pink e Valentine Jelastine, e rimase ferito l’armatore del peschereccio, Freddy Bosco. Dopo un lungo contenzioso, nel luglio del 2020 il tribunale internazionale dell’Aja, che aveva riconosciuto “l’immunità funzionale” ai fucilieri, aveva stabilito che la giurisdizione sul caso spettava all’Italia e aveva disposto il risarcimento alle famiglie delle vittime.