Green pass e controlli: la circolare del Viminale ha sollevato polemiche, ma ha superato incomprensioni nel governo
La circolare firmata dal prefetto Frattasi, Capo di Gabinetto del Viminale, pur criticata da alcuni, ha comunque offerto agli operatori alcune indicazioni pratiche utili per adeguare i propri comportamenti al fine di evitare sanzioni e chiusure degli esercizi.
Ma è interessante anche capire i retroscena che hanno portato all’emanazione della circolare che corregge in parte quanto affermato poco prima dalla ministra Lamorgese e che non ha accontentato certo le Forze di Polizia, caricate di controlli che avrebbero voluto francamente evitare e che appesantiscono il loro lavoro. Pare che all’origine della vicenda ci sia stato un contrasto fra la ministra e il premier Draghi, il quale avrebbe chiesto a Lamorgese conto delle sue dichiarazioni. Lo rivelano alcuni lanci di agenzia e lo spiega in modo chiaro Claudia Fusani sull’Huffington Post.
Sarebbe stato il premier a parlare al telefono con la ministra Lamorgese chiedendole di chiarire quanto aveva detto qualche ora prima. E a scrivere una circolare che non smentisse lo spirito del strumento green pass e al tempo stesso ne tutelasse la funzione e l’efficacia: garantire standard di vita normali seppur conviventi con la pandemia. Detta
meglio: non chiudere più le attività, tutelare la salute e invitare il più possibile i cittadini a vaccinarsi.
Ma a dir poco perplessi erano rimasti i funzionari di polizia, coloro che devono dare applicazione alla norma. «I gestori possono controllare i documenti degli avventori. L’esperienza comune – hanno spiegato fonti dell’ Associazione nazionale funzionari di polizia (Anfp) – dimostra come non si debba essere poliziotti per chiedere un documento. Non lo sono i tabaccai che devono evitare di vendere le sigarette ai minori, i cassieri dei supermercati o i baristi che non possono vendere alcolici ai minori. Escludere i gestori dei locali dalle verifiche dei clienti – aveva spiegato ancora l’Anfp – va in direzione opposta e contraria a quel principio di sicurezza partecipata che ormai da anni è alla base del sistema sicurezza e per cui ciascuno fa la propria parte per costruire un sistema più sicuro. E’
evidente a tutti come la pandemia ed i provvedimenti connessi al suo contenimento siano diventati elementi fortemente divisivi tra le forze politiche e soprattutto tra le persone. In un contesto del genere, in un periodo in cui sono quotidiani gli interventi delle forze dell’ordine per far rispettare le regole anti assembramento e altrettanto quotidiani sono gli attacchi alle forze di polizia, scaricare i controlli nei ristoranti solo sulle forze dell’ordine ci appare francamente inopportuno».
La circolare ha trovato ( o meglio ha cercato di trovare) una via di mezzo, i controlli saranno effettuati a campione dalla Forze di polizia, ma anche i titolari degli esercizi dovranno controllare. Frattasi spiega infatti che gli esercenti non devono sempre e per forza chiedere i documenti ma devono farlo in caso di dubbio. I ristoratori, si legge, non devono chiedere i documenti di identità ai clienti per verificare la validità del green pass. Ma devono farlo «necessariamente nei casi di abuso o di elusione delle norme, ad esempio in caso di manifesta incongruenza della certificazione verde con i dati anagrafici in essa contenuti». La verifica del gran pass è invece «un vero e proprio obbligo». Fin qui le precisazioni di Frattasi che hanno cercato di salvare capra e cavoli, non smentendo le due anime del governo. Ma occorrerà vedere come, alla luce dell’esperienza concreta, si comporteranno operatori e clienti. L’Associazione nazionale funzionari di polizia ha già affermato di voler constatare se i controlli saranno così sporadici da essere una farsa, oppure saranno fonte di ulteriori tensioni.
Non resta che sperare nel buon senso delle Forze dell’ordine e nel senso di responsabilità dei cittadini. Sul primo fattore, da ex prefetto, posso scommettere che ci si regolerà così, anche per le indicazioni che verranno date agli organi di polizia, Sul secondo aspetto mi permetto di esprimere molti dubbi, molti esempi passati mi fanno temere che ci siano comportamenti non consoni (non è necessario ricordare le notti della movida), ma spero di essere smentito.
Da un lato gli esercenti non volevano fare i poliziotti, dall’altro le forze di polizia non gradivano di essere caricate di altri gravosi compiti. E, come sempre, la palla avvelenata è stata rilanciata ai prefetti, che nel loro ruolo di tutela della sicurezza e della pace sociale, dovranno definire le modalità d’intervento in seno ai Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica. Non dubito che i colleghi, in ogni parte d’Italia, riusciranno nella difficile opera di mediazione.