Editoria: giornalista precario diventa postino. La lettera shock scritta al sindacato
FIRENZE – Non ce la faceva più con la vita da giornalista precario de Il Tirreno. Così Samuele Bartolini, iscritto all’Ordine e all’Assostampa da oltre vent’anni, ha deciso di chiudere, almeno per ora, con la professione, dopo aver ottenuto un contratto, anche questo a tempo determinato, con le Poste. Ha deciso di raccontare la sua storia sui social e anche con una lettera all’Associazione Stampa Toscana per ringraziare il sindacato unico e unitario dei giornalisti di essergli comunque stato vicino, anche economicamente, nel momento più difficile, l’estate 2021 da poco passata, durante il quale ha maturato la decisione di cambiare lavoro.
L’Associazione Stampa Toscana (che ha ripetutamente sostenuto il collega attraverso l’apposito fondo di solidarietà, integrato anche dalla generosità del Gruppo pensionati) ha deciso di diffondere lettera e storia (del resto già abbondantemente lette sui social) perchè sono lo specchio preoccupante della crisi non solo della professione ma di tutto il settore dell’Editoria.
Si scappa non solo dalla professione di giornalista, ma dall’informazione. Che è in grave crisi. E’ per questo che il sindacato – Fnsi e Associazioni Regionali di Stampa – preme sul governo perchè sul tavolo non c’è solo il passaggio dell’Inpgi all’Inps. Le criticità che riguardano il settore dell’informazione vanno affrontate esattamente come si fa con le crisi di tanti altri settori industriali del nostro Paese: ossia con un confronto tra governo e parti sociali, individuando misure di rilancio e di sostegno che non possono essere sicuramente i finanziamenti a pioggia, ma misure indirizzate alla ripresa degli investimenti e del mercato del lavoro.
La lettera shock
E’ come quando ero piccino. Quando da ragazzi eravamo alla partita del Castelluccio e passavamo il tempo a lanciarci giù dal “grottone” macchiando i calzoni di verde. Anche ora sto rotolando giù. Ma a differenza di quando ero ragazzo, ora non mi diverto. Al contrario. Sto male. Di più. Sto malissimo. E non vedo il fondo. Dopo otto anni di onorato servizio e lenta ma costante crescita professionale, e nonostante il sindacato dei giornalisti Assostampa mi sia stato vicino aiutandomi moralmente ma soprattutto finanziariamente, mi sono dimesso dal Tirreno. Sono andato via io. Non sentivo più niente di interessante da scrivere. Soprattutto aveva perso di senso, piano piano, il mio lavoro: rincorrere il politico di turno per la polemica del giorno, prendere il tipo del giorno e fargli l’intervista, persino le manifestazioni della Gkn mi davano fastidio.
Qual’è stato il problema? All’inizio sono stati i compensi del nuovo editore: Sae. Poi parlo della considerazione per quanto fatto negli anni scorsi da parte di chi mi avrebbe dovuto valorizzare e non l’ha fatto. Non potevo continuare a scrivere e vedere a fine mese un’entrata pari a poco più di uno stagista. Il crollo ha fatto capolino dal gennaio 2021: il conguaglio ha bruciato gran parte delle mie già poche entrate. Poi è arrivato il nuovo contratto ad aprile di Sae: fatto al ribasso quando mi avevano assicurato che non avrebbero cambiato nulla. Poi è arrivato il crollo vero e proprio mio personale. Ho sentito montare mese dopo mese come una rassegnazione. Ho cominciato a provare un senso di depressione che cresceva e cresceva. Ogni servizio era diventato come un masso da spostare dallo stomaco ogni giorno. Non avevo più interesse. Non avevo più entusiasmo. Mi sentivo sfruttato.
L’estate l’ho passata in affanno. Intanto Assostampa e il suo presidente Sandro Bennucci mi aiutavano ascoltando le mie preoccupazioni e aiutando me e le mia famiglia finanziariamente. Sono sparito letteralmente ad agosto. A settembre ho riprovato a scrivere per il giornale ma, visto lo stipendio di ottobre, mi sono reso conto che il conto corrente sarebbe comunque continuato a calare. Oggi però non sono più il ragazzo che si lanciava dal grottone insieme agli amici di paese. Sono padre di famiglia, vado per i 47 anni, mia moglie si spacca in quattro per la famiglia e io, tra depressione e sempre meno soldi in banca per la famiglia, fatico pure a guardare in faccia i miei figli. Un lavoro vero deve essere prima di tutto un lavoro dignitoso. Qualunque esso sia. E avere la mostrina del giornalista sulla giacchetta era diventata solo un peso. Così mi sono dimesso dal Tirreno.
Sto abbandonando i miei sogni? Non lo so. Di certo ho fatto mille esplorazioni per un nuovo lavoro in questi mesi. Ho fatto domanda pure alle Poste per un lavoro temporaneo. Mi hanno preso. Vado a fare l’addetto smistamento a Sesto Fiorentino. Farò l’operaio. Farò le notti. Non so quanto durerà. Ho una laurea con lode. Sono ventun’anni che ho la tessera da giornalista in tasca. Non la perderò. Ma farò l’operaio. Perlomeno per un po’ lo stipendio sarà dignitoso. E poi chissà. Di certo, dopo aver dato il sangue per anni a questo giornale, mai avrei pensato che il post-Covid mi avrebbe portato a fare tali scelte.
Samuele Bartolini