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La nostra Costituzione avrebbe bisogno di un parziale adeguamento in vista dell’attuazione del Pnrr. Il parere di un esperto

FIRENZE – Sul Sole 24Ore di domenica 5 dicembre è stato pubblicato un interessante articolo del professor Sergio Fabbrini, che sottolinea come la nostra Costituzione abbia bisogno di qualche aggiustamento per renderla più aderente ai tempi attuali. Solo Napolitano e Benigni si ostinano a definirla «la Costituzione più bella del mondo».

Sono passati 5 anni dal 4 dicembre del 2016 quando fu bocciato il referendum costituzionale voluto da Renzi. Da allora molto spesso si sono levate voci che hanno rilevato quanto al nostro Paese sia indispensabile una vera riforma dei meccanismi istituzionali. Ma adesso corriamo il rischio di vanificare le grandi possibilità offerte all’Italia dal PNRR, e questo l’Italia non se lo può permettere.

Il professore individua tre temi, la stabilità del governo, il ruolo del premier e la capacità di difendere gli interessi generali, sui quali si misura la fragilità delle nostre istituzioni. È una sintesi mirabile che riportiamo per punti.

Senza una riforma costituzionale, argomenta Fabbrini, «dovremo passare da un salvatore della patria ad un altro per uscire dalle difficoltà”. E, ci sia permesso di aggiungere, non è nemmeno detto che ci riusciamo. La conclusione è una sola. Il tema della riforma costituzionale non è più eludibile. La retorica della Costituzione più bella del mondo ha fatto il suo tempo. Bisogna avere il coraggio di dirlo, e dirlo a voce alta. Perché la cialtroneria costa caro» conclude Fabbrini.

Stabilità del governo: «Un governo non può dipendere dalle fibrillazioni quotidiane della propria maggioranza, come invece avviene in Italia. Infatti, noi non disponiamo di meccanismi costituzionali (come il voto di sfiducia costruttiva) o politici (precisi accordi di coalizione) per proteggere i governi da quelle fibrillazioni. Ogni volta che si è cercato di razionalizzare il governo, i fautori della costituzione più bella del mondo si sono messi in moto per difendere la (cosiddetta) centralità del Parlamento. Parlamento così centrale che, in presenza di crisi esistenziali, è stato costretto ad auto-sospendersi, in quanto incapace di trovare soluzioni al proprio interno».

Ruolo del Premier: « l’autorevolezza del premier è una condizione del successo del governo. L’attuale governo britannico beneficia di una stabile maggioranza parlamentare, eppure l’incompetenza del suo premier ne deprime il rendimento. In Italia, la pandemia ha mostrato come i governanti incompetenti siano incapaci di prendere decisioni efficaci, obbligandoci a ricorrere alle competenze di un generale degli alpini per contrastarla o a quella di un banchiere centrale per uscire da essa. Senza un premier in grado di dirigere l’azione di governo, come avremmo potuto presentare un Piano nazionale di ripresa e resilienza accettato dall’Ue (in virtù del quale abbiamo ricevuto un anticipo di 25 miliardi di euro) oppure come potremmo raggiungere (entro la fine di dicembre) i 51 obiettivi intermedi (consistenti in riforme della legislazione) da cui dipendono altri 25 miliardi da ricevere entro la fine del prossimo febbraio?»

Difesa dell’interesse generale: «L’Italia è piena di specialisti della rivendicazione, talora della minaccia, ma ha una scarsità di rappresentanti che abbiano un’idea del nostro interesse nazionale. Nessuno avanza una visione generale in cui inserire la soddisfazione degli interessi particolari che rappresenta. Meno che meno è consapevole della nostra interdipendenza nell’Ue. La frantumazione della rappresentanza parlamentare, la confusione della rappresentanza territoriale e la polverizzazione della rappresentanza funzionale si alimentano a vicenda. Eppure, ogni volta che si è cercato di riordinare i processi di rappresentanza (per superare la ridondanza bicamerale del Parlamento, per responsabilizzare i governi regionali verso l’interesse nazionale, per riformare il sistema regolativo dei partiti e delle organizzazioni di interesse), in nome del conservatorismo rivoluzionario, si è tagliato il numero dei parlamentari senza modificare le funzioni delle camere, si è promossa l’autonomia regionale in funzione antistatale, si sono esaltate le divisioni tra i gruppi di interesse come se fossero l’espressione della lotta di classe del primo Novecento».

Concordiamo in pieno con le riflessioni del prof. Fabbrini, che ha centrato perfettamente il problema. Occorre un adeguamento della seconda parte della nostra Costituzione (lasciando intatta la prima), come aveva tentato di fare Renzi, sbagliando però nel personalizzare il referendum istituzionale, pagandone poi le conseguenze. Ne va della funzionalità del nostro ordinamento, troppo macchinoso e bloccato da competenze incrociate e confuse, specialmente nella parte che regola i rapporti fra lo Stato e le Regioni.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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