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Omelia della notte di Natale 2021 del cardinale Betori: «La pandemia chiede solidarietà, contro violenza e prepotenza»

Il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze

FIRENZE – Da abile narratore l’evangelista Luca ci ha invitato a concentrare progressivamente il nostro sguardo, partendo dall’insieme dei paesi attorno al Mare Mediterraneo, riuniti sotto il potere dell’Impero Romano, verso la sua parte orientale, la provincia della Siria, per giungere al territorio della Giudea e soffermarsi infine su un piccolo borgo, Betlemme. Non meno suggestivo è il passaggio da chi domina questo mondo, l’imperatore Augusto, fino a un piccolo bambino di cui non viene neanche indicato il nome; dalla reggia del potente alla povertà di un ricovero per animali, nella cui mangiatoia viene posto questo nuovo nato di donna. La storia e la geografia dei grandi lascia il posto alla cronaca di una nascita nella marginalità del mondo, dove non si schierano le potenze degli eserciti ma la vita quotidiana degli umili, i pastori.
Eppure è proprio nell’atto profondamente umano che è una nascita, nella condizione fragile di un bambino, nella precarietà di un uomo e una donna per i quali non c’è posto nella convivenza umana, nell’attenzione che è a loro riservata solo da gente del popolo intenta al lavoro, si rivela l’amore di Dio per l’umanità, quello che gli angeli rivelano proclamando che il bambino avvolto in fasce nella mangiatoia è Cristo, Messia promesso dai profeti, è il Salvatore del mondo, è il Signore, cioè Dio stesso. Il senso di quanto accade nella notte di Betlemme si può cogliere dalla lode degli angeli che chiude il nostro racconto: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). In ciò che accade nel parto di Maria si realizza la gloria di Dio, la piena manifestazione del suo amore, e mentre viene celebrata nel cielo, nell’adorazione delle schiere angeliche, riflette il suo splendore sulla terra, perché all’umanità amata da Dio è dato il potere di costruire e custodire la pace, non quella illusoria frutto della guerra, da cui escono oppressori e vinti, ma quella vera che è generata dall’amore che rende tutti fratelli, perché ci si riconosce figli di un unico Padre.

Quanti miti del pensiero comune vengono spazzati via dalla notte di Betlemme! La vita di un piccolo bambino, ogni vita umana, ha un potere ben più grande di quello dei potenti del mondo, e ne va riconosciuta la dignità. Questo perché Dio ha voluto farsi uomo, facendosi vicino a noi nella fragilità propria di ogni essere umano. Lo è nella mangiatoia, lo sarà sopra una croce. Non si illudano coloro che, ieri come oggi, ritengono di dare consistenza alla propria vita con la violenza che distrugge chi viene ritenuto un ostacolo, con il potere ottenuto strappando la libertà agli altri, con il possesso di beni che si pensa possano soddisfare ogni voglia, con il successo misurato sul consenso che si raccoglie! Il Natale di Gesù ci dice che la misura dell’essere umano è l’amore: quello che genera la vita, quello di una vita che si fa dono per gli altri, quello di chi accoglie la vita nella sua nuda fragilità.

Questo mistero trova nella pagina del profeta Isaia indicazioni preziose di approfondimento, a cominciare dall’immagine di una luce che contrasta le tenebre del mondo. La luce appare anche nel racconto di Luca, dono che l’angelo offre ai pastori. E la luce della nascita di un bambino di stirpe regale viene contrapposta da Isaia alle tenebre gettate su Israele dall’invasione assira. Di fronte alla minaccia dell’oppressione, viene annunciato che c’è speranza per il popolo di Dio, c’è speranza per il mondo, ed essa è riposta sulle spalle di un bambino, in cui la fede cristiana riconosce il volto del Messia, di Gesù.
Ma come può un bambino salvare il mondo e mandare in fumo gli strumenti violenti del potere, le armature dei soldati e il sangue che essi spargono attorno a sé? La risposta la possiamo trovare nei quattro nomi che vengono dati da Isaia al bambino «nato per noi»: «Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,5).

«Consigliere ammirabile»: la salvezza del popolo, e del mondo, è legata anzitutto al discernimento che deve accompagnare l’agire umano. In questo bambino noi troviamo anzitutto un principio di discernimento e da lui, dalla sua parola ci viene lo sguardo che ci permette di entrare nella verità delle cose e di decidere per il bene. Azioni essenziali oggi, nella confusa congerie di opinioni che relativizzano il concetto stesso di verità, nel diffondersi di false notizie il cui scopo è solo di conquistare consenso, nell’imporsi di modelli di vita che generano solo vuoto conformismo.
«Dio potente»: nel bambino che nasce per noi dobbiamo riconoscere l’espressione della potenza divina, di quella forza d’amore con cui Dio vince il male del mondo. La presenza di Dio tra noi e in noi è il contrario di un sedativo che assopisce i contrasti e toglie le differenze. Quando Dio è riconosciuto anche il male che gli si oppone emerge dalle sue ombre. Ne nasce un invito a non accettare mediazioni con ciò che ferisce l’umanità nella sua profonda identità di creatura divina e a disporsi a una lotta contro il male, una lotta in cui la certezza della grazia di Dio ci sorregge e non ci fa arretrare.

«Padre per sempre»: il piccolo bambino porta con sé il carattere proprio del capo che non tradisce il suo popolo, gli resta fedelmente accanto riunendolo in vincoli familiari. Gesù, il Messia sarà un padre per noi, perché ci raccoglierà dalla nostra dispersione per farci famiglia dei figli di Dio. E di un senso di famiglia ha bisogno questo nostro mondo, in cui non si è sempre disposti a riconoscere nell’altro un fratello, sempre anche quando viene da lontano, professa un’altra fede, vive nella marginalità della povertà. Infine, «Principe della pace», il bambino Messia si presenta a noi come colui che è in grado di dare volto alla pace, aspirazione di sempre dell’uomo, troppo spesso ricercata da sorgenti che non sono in grado di generarla. Non lo è la guerra, e la violenza che essa porta con sé, non lo è lo scontro ideologico che separa e rende nemici, non lo è la fame di denaro che genera la fame dei più deboli, non lo è l’affermazione di sé nella logica di una libertà priva di riferimenti etici. Fondamento della pace sono solo «il diritto e la giustizia» (Is 9,6), la positiva relazione con Dio e con gli altri. Tracciando il quadro del regno messianico abbiamo toccato temi che segnano la nostra attualità, in questa condizione pandemica che ci chiede sempre maggiore solidarietà e coraggiosa speranza, ma ancor più ampiamente in questa svolta epocale in cui l’immagine del nostro più vero umanesimo si trova minacciato dal venir meno della difesa dell’umano in tutti i suoi momenti e le diverse condizioni. Possa il Bambino che nasce illuminare le nostre tenebre e riportare il nostro sguardo sotto la luce di Dio che svela la piena verità sulla condizione umana.

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