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Pandemia: i lavoratori poveri aumentano (11%), guadagnano meno di 11.000 euro l’anno e faticano a andare avanti

Conte
ANSA/ ETTORE FERRARI/pool

TORINO – Un interessante articolo pubblicato su La Stampa, a firma di Paolo Baroni esamina la situazione dei lavoratori poveri in Italia, annotando che il 12% guadagna meno di 11 mila euro e che quindi trova difficoltà ad andare avanti. Quindi nell’Italia di Conte e di Draghi l’economia è in ginocchio e le persone non riescono ad arrivare alla fine del mese. Sfatata la bella favola che ci raccontano ogni giorno i fan del governo. Una ben misera conclusione per il settennato di Mattarella e per le sue scelte, che fin dall’inizio hanno chiaramente ostacolato la possibilità di formare un governo di centrodestra. Fra coloro che non ce la fanno ad andare avanti e sono considerati lavoratori poveri, risultano una parte dei lavoratori dipendenti (16.8%), gli autonomi (16,8%), i lavoratori Part time (19,4%)

Per gli esperti del ministero è sotto la soglia un addetto su 10, Non bastano i minimi salariali, serve un piano complessivo a cui il ministro Orlando sta prestando grande attenzione e su cui a breve si intende intervenire.

Stando agli ultimi dati elaborati da Eurostat nel 2019 l’11,8% dei lavoratori italiani era «povero», contro una media europea del 9,2%. Per combattere la povertà lavorativa, fenomeno che dopo il Covid e il diffondersi di contratti precari è diventato sempre più grave, occorre mettere in campo una strategia complessiva. Sono le conclusioni a cui è arrivato il gruppo di lavoro sui working poor nominato dal ministero del Lavoro, composto da esperti di diritto del lavoro, economisti e sociologi e coordinato dall’economista dell’Ocse Andrea Garnero.

Una strategia di lotta alla povertà lavorativa richiede «una molteplicità di strumenti per sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito, e assicurare un sistema redistributivo efficace».

Sul fronte delle politiche «predistributive» si parte ovviamente dall’esigenza di garantire a tutti minimi salariali adeguati, «condizione necessaria (ma non sufficiente) per combattere la povertà lavorativa tra i lavoratori dipendenti». Nel caso italiano sono due le opzioni in discussione: estendere l’applicazione dei principali contratti collettivi a tutti i lavoratori del settore, oppure introdurre per legge un salario minimo.

«Dal momento però che queste due soluzioni si scontrano da anni con ostacoli politici e tecnici», nell’attesa di definire una strategia nazionale gli esperti suggeriscono di sperimentare una delle due ipotesi in un numero limitato di settori, caratterizzati da maggiore criticità, in modo da fornire una prima e temporanea soluzione al problema. La seconda proposta punta invece a rafforzare la vigilanza documentale (e ad arricchire le banche dati esistenti) perché «è essenziale» che poi i minimi salariali siano rispettati dalle imprese.

La proposta numero 3 riguarda il campo delle politiche redistributive e prevede di introdurre anche da noi un «in-work benefit» (letteralmente trasferimento a chi lavora) come strumento utile ad integrare i redditi dei lavoratori poveri ed al tempo stesso incentivare il lavoro regolare.

L’in-work benefit, che secondo gli esperti andrebbe previsto nell’ambito della riforma fiscale, dovrebbe assorbire sia il bonus dipendenti da 80 euro che la disoccupazione parziale per arrivare a uno strumento unico, di facile accesso e coerente con il resto del sistema (Reddito di cittadinanza, ecc.).

Sulla base delle esperienze internazionali, il trasferimento dovrebbe essere definito a livello individuale per non disincentivare il lavoro del secondo percettore e crescere fino a una certa soglia di reddito, quindi stabilizzarsi e poi decrescere. Inoltre, per evitare che questo benefit possa trasformarsi surrettiziamente in un trasferimento alle imprese e, di fatto, in un incentivo al lavoro povero, questa misura dovrà accompagnarsi sia alla presenza e al rispetto di minimi salariali adeguati sia al controllo di comportamenti opportunistici di imprese e lavoratori rispetto al numero di ore di lavoro e ai salari dichiarati.

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