Adozioni: Corte Europea diritti umani bacchetta tribunale Brescia, infondata separazione di madre e figlia
STRASBURGO – Un’altra bordata della Corte Europea dei diritti umani alle sentenze, giudicate non giustificate, dei giudici italiani. Questa volta in tema di adozioni, un tema nel quale i giudici seguono spesso i giudizi dei loro consulenti. Mamma e figlia non si vedono dal 30 dicembre 2015, giorno in cui il tribunale di Brescia ha dichiarato la bimba adottabile per l’incapacità della madre di prendersene cura, dato anche lo «stile di vita instabile». La Corte europea dei diritti umani (Cedu) ora sembra però cambiare il corso di questa storia. Condanna l’Italia per aver separato la donna e la sua piccola con argomenti insufficienti. E chiede alle autorità di riconsiderare rapidamente questo caso e valutare la possibilità di organizzare degli incontri tra la madre e la figlia».
Questo è anche l’auspicio delle sue legali, Antonella Mascia e Annamaria Di Stefano, che mantengono il riserbo sull’identità delle protagoniste, tutelata anche dalla Corte. Si sa solo che la donna è di origine cubana e ha 40 anni
e la figlia è nata nel 2012. Entrambe sono residenti a Brescia. «Siamo soddisfatte della sentenza e speriamo che possa permettere a madre e figlia di riallacciare i rapporti», dichiara all’ANSA l’avvocata Mascia. Non è la prima
volta che l’Italia è condannata per vicende simili, come evidenzia anche Strasburgo. «Nell’arco degli ultimi anni –
scrive la Corte – l’Italia è stata condannata diverse volte per aver violato, come in questo caso, il diritto al rispetto della vita familiare con decisioni sull’affido e l’adozione, o quelle sui diritti di visita».
Nella sentenza si contesta il fatto che prima di decidere, i tribunali italiani, non abbiano fatto una valutazione delle capacità genitoriali della madre e della situazione psicologica della minore. Inoltre si evidenzia che non sono state tenute in conto le vulnerabilità della donna né la necessità di mantenere il legame tra lei e sua figlia adottando soluzioni meno radicali. Insomma una completa sconfessione dell’operato dei giudici di Brescia e dei loro consulenti. Un’altra bella lezione alla magistratura italiana in un momento nel quale i magistrati non sono proprio al massimo della considerazione dell’opinione pubblica.