Elezioni Quirinale: grandi manovre dei partiti, anche ex avversari (Letta – Renzi; Conte – Salvini) costretti a trattare
Nelle trattative per far uscire un nome condiviso per il Quirinale, sembra uscire di scena il nome di Mattarella, anche se Berlusconi ha fatto capire che, una volta rinunciato a correre in prima persona, potrebbe proporre proprio la candidatura del Presidente uscente. Ma Sergio Mattarella non intende fare da parafulmine di un sistema allo sbando. Ieri, al moltiplicarsi delle voci sui nuovi passi che rivorrebbero compiere per convincerlo a un “bis”, ha ripetuto per l’ennesima volta che non se ne parla nemmeno. A questo punto una maggioranza potrebbe convergere alla fine, su Mario Draghi, ma è però necessario un accordo blindato tra le forze politiche.
E per questa finalità si intrecciano colloqui e ipotesi d’accordo fra ex avversari. Letta parla con Renzi (ricordate il freddo scambio della campanella a Palazzo Chigi?) e Conte con Salvini (la filippica dell’allora premier contro il leghista, componente del suo governo). Ma i politici fanno di necessità virtù perché l’impasse del Quirinale rischia di bloccare l’attività in un momento nel quale è invece necessario intervenire con urgenza per fronteggiare la situazione economica, sociale e sanitaria.
Berlusconi entro domenica – ha fatto sapere – deciderà se ritirarsi. In effetti, se Salvini ha iniziato a sondare i leader sulla Casellari e sulla Moratti vuol dire che la sua candidatura viene considerata archiviata. In realtà, come ha ricordato il Pd, si deve arrivare a un nome condiviso che riesca ad avere i numeri che finora non ha la destra e nemmeno la sinistra. Al momento l’unico che raccoglie voti trasversali è Draghi, data la maggioranza che lo sostiene.
Ma per il premier il maggiore ostacolo sulla strada del Colle è la paura di una crisi non pilotata che porti diritti a nuove elezioni. Ma la crisi filoguidata che potrebbe tranquillizzare deputati e senatori è seriamente ostacolata dal clima di sfiducia di tutti nei confronti di tutti. È perciò difficile mettere in piedi, con Draghi trasferito al Colle, un governo di continuità e di scopo per portare il Paese fuori dalla pandemia, riscuotere una cinquantina di miliardi di fondi europei e guidare il Paese alle elezioni del 2023.
Non è un segreto che l’Europa tifi per Draghi al Quirinale, quale garante dell’esecuzione del Pnrr e delle indicazioni della Commissione, e anche il Financial Times prevede che le elezioni anticipate farebbero deragliare la ripresa dell’Italia e scrive che eleggere l’ex presidente della Bce sarebbe «il modo migliore per portare avanti il buon lavoro» fatto nell’ultimo anno.
Per l’eventuale sua sostituzione Draghi ha in mente un erede, Daniele Franco, che però è osteggiato da una parte della maggioranza (Renzi in primis), mentre la candidatura di Marta Cartabia, pur gradita a Mattarella, trova l’opposizione del M5S. Il premier avrebbe sondato anche il gradimento dei partiti per il manager Vittorio Colao, ministro dell’Innovazione, che però non riscuoterebbe ampi consensi.
Come si vede una situazione molto incerta, in continua evoluzione, ognuno attende le mosse dell’altro e i due schieramenti principali non vogliono compromettere, con mosse anticipate ed azzardate, la finalità perseguita. I possibili sviluppi probabilmente cominceremo a vederli a partire dal 24 gennaio, quando si apriranno alla Camera le votazioni con i 1009 Grandi Elettori. Senza dimenticare che anche i delegati regionali potrebbero fare la differenza. Aumentando così la necessità di ulteriori accordi e consultazioni. Un quadro che non incita all’ottimismo, a meno che qualcuno non tiri fuori dal cilindro un colpo decisivo, ma non vediamo proprio chi, nel lotto dei politici, potrebbe riuscire nell’intento.