Milleproroghe: governo battuto 4 volte. Draghi irritato: “Ora basta o tutti a casa”. E va da Mattarella
ROMA – Per quattro volte, nella notte fra mercoledì 16 e giovedì 17 febbraio, il governo è stato battuto nelle commissioni Bilancio e Affari costituzionali della Camera. Si parla di urla, spintoni e caos. Infuriato il premier, Mario Draghi, che ha convocato i capidelegazione di maggioranza per una strigliata che sa di ultimatum: “O mi garantite i voti o così il governo non può andare avanti”. Traduzione tutti a casa ed elezioni, perchè un’altra maggioranza sarebbe impossibile.
Sugli emendamenti di provvedimenti di peso, nei quali il governo è uscito sconfitto: vanno dall’Ilva alla sperimentazione sugli animali, fino all’aumento del tetto di contanti usabili e alle graduatorie per la scuola. Qualcosa di più di un incidente, che viene letto nelle sue proporzioni anche al Quirinale. Mario Draghi così non perde tempo e non appena atterrato proveniente dal Consiglio europeo di Bruxelles sale al Colle – richiamato dal presidente, sottolineano fonti parlamentari – per riferire della crisi ucraina, ma anche per fare il punto con il capo dello Stato che fonti di governo definiscono preoccupato per quanto avvenuto nella notte in Parlamento.
Ne esce un richiamo ai partiti di maggioranza che il premier esplicita nella riunione chiedendo “un immediato chiarimento” perchè non si tratta di normali dinamiche parlamentari, ma di un problema squisitamente politico. Draghi non ha mancato di ricordare il motivo per cui è stato portato a Chigi dal presidente della Repubblica sottolineando che lui ha accettato “per fare le cose”.
Il combinato disposto di venti di guerra e agguati di maggioranza non può che mettere sull’allerta sia Chigi che il Quirinale sulla tenuta della maggioranza. Anche perchè, seppur sottotraccia, le linee di politica estera rispetto alla Russia all’interno della coalizione non sono consonanti e forti sono i timori che le sanzioni contro Mosca provochino contraccolpi pesanti sul mercato dell’energia italiano.
Dal Colle non esce alcuna indiscrezione sul “tete a tete” tra Mattarella e Draghi. Un silenzio che conferma la delicatezza della situazione internazionale e la fragilità delle dinamiche interne. Un Parlamento, forse rivitalizzato proprio dalla rielezione di Mattarella e dalle spinte della Consulta a legiferare, mostra però segnali di incontrollabilità. Anche se in verità quanto accaduto in commissione sembra frutto di scelte precise dei partiti di maggioranza. Basta esaminare i provvedimenti e le indicazioni di voto trasversali nonostante i pareri negativi dell’esecutivo. Durante l’esame delle modifiche al decreto Milleproroghe. Il governo è andato sotto quattro volte e in alcuni casi la maggioranza si è spaccata.
Contro il parere dell’esecutivo sono passati gli emendamenti che prevedono il dietrofront sull’Ilva e sul tetto al contante così come sono state approvate norme sulle graduatorie della scuola e i test sugli animali. Più in particolare la maggioranza si divide su un provvedimento dal forte valore simbolico – approvato da pochissimo – come il tetto al contante che viene in un attimo riportato a 2000 euro. La Lega e FI hanno votato infatti con l’opposizione rappresentata da Fratelli d’Italia.
Una modifica passata per un solo voto con il parere contrario del governo. Altro scossone si verifica sull’Ilva: la norma originaria cambiava la destinazione di parte dei fondi Riva che ora tornano a poter essere utilizzati per le bonifiche. In questo caso sono Fratelli d’Italia e Lega a votare a favore in sintonia con il parere del governo. Anche sulle graduatorie per l’Istruzione il governo aveva dato parere favorevole a una riformulazione che però è stata bocciata dalle commissioni. Come se non bastasse l’esecutivo è andato sotto anche sulla norma che prorogava la sperimentazione animale per soli sei mesi. L’emendamento approvato, con il parere contrario del governo, ha allungato la sperimentazione fino al primo luglio del 2025. La sintesi del caos che si sta impadronendo della coalizione viene da un ministro governista della Lega, Giancarlo Giorgetti: “Se i capigruppo non controllano i gruppi è grave, ma se li controllano e questo è il risultato voluto è peggio”.