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Ucraina: l’omelia del cardinale Betori nella messa per la pace alla Santissima Annunziata

Il Cardinale Giuseppe Betori

FIRENZE – La diocesi di Firenze si unisce così oggi alla preghiera della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana per la pace in Ucraina e per le vittime della guerra e della pandemia.

Il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa ha proposto alle Conferenze Episcopali Nazionali di unirsi in preghiera nel tempo di Quaresima, con la celebrazione di una messa, per invocare lapacee pregare per levittimecausate dallaguerrae per imortia causa dellapandemia. E oggi, 18 marzo la Presidenza della CEI si è inserita in questo percorso di preghiera con l messa celebrata alla Santissima Annunziata.

Ed ecco l’omelia del cardinale Betori, letta dal vicario generale Giancarlo Corti, che ha celebrato la messa, perché il Cardinale si trova ancora in quarantena dopo essere risultato positivo al Covid:

“La liturgia della parola si è aperta con una pagina della storia della salvezza che riedita l’odio tra fratelli che aveva segnato l’inizio della storia dell’umanità. Tra Giuseppe e i suoi fratelli viene riproposto il dramma di Caino e Abele. L’odio tra i fratelli, i figli di Giacobbe, secondo una sura del Corano, è frutto dell’azione del demonio. Un giudizio, questo, conforme alla nostra Scrittura, per la quale «per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono» (Sap 2,24), perché il diavolo è «omicida fin da principio» (Gv 8,44).

La natura diabolica della violenza emerge con tutta evidenza nella guerra di cui siamo testimoni in questi giorni. Ci lascia sgomenti e al tempo stesso ci invita a farci partecipi delle sofferenze di quanti ne sono vittime.

Nella vicenda di Giuseppe l’esito funesto della sua morte, voluta dalla maggioranza dei fratelli, viene superato grazie a un intervento compassionevole di Ruben, uno dei fratelli. Questo ci dice che, anche là dove si annida l’odio, si può fare spazio un sentimento e un gesto di umanità. Il tentatore ci vuole catturare, ma la nostra libertà non è mai lesa al punto da impedire la scelta del bene.

Ed è su questa libertà esercitata in vista del bene che si inserisce il disegno di Dio, che farà della vendita come schiavo, della condizione di straniero e infine della prigionia di Giuseppe la strada perché egli diventi strumento di salvezza per la sua famiglia e prima ancora per lo stesso Egitto.

L’esercizio della libertà in vista del bene e la fede in un Dio che guida la storia anche tra le contraddizioni degli uomini, anche tra i cristiani, costituiscono il duplice orizzonte che deve illuminare la nostra coscienza in questi giorni. Il no alla guerra come strumento di soluzione delle controversie tra le nazioni si unisce alla concreta partecipazione alle sofferenze dei fratelli. Come comunità religiosa non abbiamo il potere politico e tantomeno militare di fermare una guerra, ma possiamo e dobbiamo richiamare ai valori della pace e del diritto dei popoli a difendere la propria libertà e identità. Possiamo e dobbiamo però fare appello alla conversione dei cuori. E questo chiediamo stasera al Signore. Le preghiere sono più potenti delle bombe, affermava Giorgio La Pira. Anche noi lo crediamo e per questo la nostra speranza resta viva.

Frutto di questa fede e di questa speranza è la carità, la compassione, la solidarietà che vediamo e che contrastano la logica folle della guerra, delle armi e della disumanità. Siamo testimoni, in questi giorni, della natura diabolica della violenza, ma anche del volto di Dio che è Misericordia, sorgente di salvezza dell’umanità. Ho in mente tante immagini di storie di generosità, gesti di altruismo e di accoglienza, di lacrime e sorrisi, che alimentano concretamente la speranza del bene che sempre prevale. Le vediamo qui da noi – penso a Caritas, Misericordie, tante realtà solidali e caritative, parrocchie, singole famiglie e persone –, nei Paesi al confine con l’Ucraina e nello stesso territorio di guerra. E siccome questa guerra si combatte tanto sul terreno quanto nella comunicazione, ci sta a cuore tanto la vita delle persone quanto la loro dignità, che va rispettata anche nelle immagini che vengono diffuse, specialmente quelle dei piccoli; violare l’intimità di una persona non è informare ma prevaricare.

A queste prospettive di denuncia del male, di difesa della libertà, di conversione dei cuori, di cura dei fratelli, di attenzione alla dignità della persona, la pagina del vangelo aggiunge ulteriori motivi di lettura della storia. In essa si mostra anzitutto l’opera di Dio, pieno di tenerezza verso la sua vigna, l’umanità. La volontà di dominio e di possesso da parte di coloro a cui è affidata la vigna, ai responsabili della convivenza umana, giunge secondo la parabola evangelica al sangue, alla violenza e alla morte contro chi parla a nome di Dio e della sua verità sull’uomo, giunge fino all’uccisione del Figlio. Ma alla logica umana che chiederebbe lo sterminio di chi gli ha ucciso il Figlio, Dio Padre risponde con l’amore, trasformando quel Figlio che è stato rifiutato nella «pietra d’angolo» (Mt 21,42), la chiave di volta, il principio di comunione di un’umanità nuova, redenta dal suo sacrificio.

L’amore di Dio, l’amore di Gesù, l’amore nostro è il motore che muove il mondo e dà senso anche alla sofferenza, alla croce. È lo sguardo che ci viene chiesto di assumere di fronte alle vittime della guerra, come pure alle vittime della pandemia che continua a segnare i nostri giorni. È la fede che ci nutre di speranza nella prova e ci chiede di vivere come fratelli”.

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