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Pensioni: la guerra ha interrotto il dialogo fra le parti, a rischio la riforma e il Pnrr

Il ministro del lavoro, Andrea Orlando (Foto ANSA)

Mentre il governo, Draghi in testa, e l’opinione pubblica sono tutti concentrati sulla guerra in Ucraina, le sanzioni a Putin e l’invio di armi a Zelensky, un mattone fondamentale della realizzazione del Pnrr, la riforma delle pensioni, è bloccato, visto che le parti sociali e il governo non si sono più incontrati. E pensare che si tratta di una delle riforme fondamentali chieste dall’Europa, insieme a quella della giustizia, che ricollochi al suo giusto posto la magistratura. La riforma delle pensioni è da tempo in fase di stallo: non si registrano novità sul fronte negoziale tra Governo e Sindacati, ancora in attesa di una convocazione politica. Il blocco delle attività è dovuto a cause di forza maggiore, con la crisi ucraina che impone altre priorità nell’agenda dell’Esecutivo, senza contare le incertezze economiche che potrebbero limitare un intervento in Legge di Bilancio per il finanziamento della riforma delle pensioni 2023.

Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando afferma che il tavolo sulla riforma non è stato accantonato, ma ha confermato che adesso il Governo ha altre priorità. Se ne riparlerà molto probabilmente dopo la presentazione del DEF, che avrebbe dovuto invece contenere una primissima formulazione di riforma con le relative risorse.

Il dibattito è iniziato da due anni, ma finora sono andate avanti solo alcune misure ponte, una serie di proroghe relative a strumenti di flessibilità in uscita (Opzione Donna e APE Sociale) e una misura di durata annuale (la Quota 102) per assorbire lo scalone sul requisito anagrafico minimo per ritirarsi (da 62 a 67 anni dal primo gennaio). Anche la Manovra 2023 non ha apportato novità di rilievo, visto che la crisi internazionale scaturita dal caro energia e culminata con la guerra tra Russia e Ucraina ha sconvolto i piani, minacciando equilibri economici e sconvolgendo le priorità.

.Entro fine anno il Governo dovrebbe prendere delle decisioni in merito, cercando di risolvere i nodi più importanti, quali le future pensioni dei giovani, il sistema contributivo, i lavoro gravosi, ma soprattutto la flessibilità in uscita. L’obiettivo è quello di consentire un’uscita in anticipo dal mondo del lavoro prima del conseguimento del requisito pieno per la pensione di vecchiaia a 67 anni, o prima di quella anticipata a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e a 41 anni e dieci mesi per le donne.

Il Governo insiste sull’importanza di restare nel perimetro del sistema contributivo, che garantisce corrispondenza fra contributi versati e importo della pensione maturata, ma i sindacati non sono completamente d’accordo e chiedono una rimodulazione di questo criterio.

Il tempo stringe, l’abbiamo ripetuto più volte, e si rischia, di questo passo, di non giungere a una conclusione neppure entro la fine del 2022 e che, alla fine, si finisca per riproporre soluzioni temporanee come la proroga di un ulteriore anno delle misure già previste, per poi rendere strutturali alcune di queste. Ma si tratterebbe di un segnale particolarmente negativo, la conferma che, in fondo, la riforma delle pensioni è un campo minato, che nessuno vuole attraversare, neppure Draghi che, essendo un tecnico, potrebbe affrontare più a cuor leggero questo ostacolo. Probabilmente il premier ricorda le lacrime della Fornero quando annunciò sacrifici per i pensionati, e gli saranno tornate in mente le polemiche feroci per il destino degli esodati, sacrificati dalla riforma del governo Monti. E forse non vorrà aggiungere altri argomenti spinosi e pericolosi, oltre alla pandemia e alla guerra, che potrebbero provocare problemi difficilmente risolvibili all’interno della sua maggioranza, tenuto anche conto che Mattarella ha più volte espresso il desiderio, vorrei dire l’ordine, che questo governo deve andare avanti fino alle elezioni del 2023 E di questo Draghi è perfettamente cosciente..

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