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Votazioni, polemiche infinite. Ma neppure il voto elettronico sembra risolvere tutti i problemi

L'Italia alle urne

Dopo le polemiche per le votazioni rimandate di ore a Palermo e i ritardi nella comunicazione dei dati in alcune sedi è tornata di moda la richiesta di voto elettronico, che puntualmente suscita polemiche per il timore di brogli che potrebbero essere collegati a questa modalità, nonostante i possibili controlli.

Un decreto firmato in data 9 luglio 2021 dai ministri dell’interno e dell’innovazione tecnologica ha previsto la possibilità della sperimentazione dell’ i-vote, del voto elettronico per alcune categorie di elettori e per alcuni tipi di elezioni. Alle politiche, alle europee e ai referendum si potrebbe sperimentarsi il voto elettronico a distanza per i fuorisede.

Dunque diritto di voto per chi è temporaneamente domiciliato fuori dal comune di residenza, senza dover tornare a casa per votare. Un tema che sale alla ribalta ciclicamente per ogni tornata elettorale e che riguarda oltre 7 milioni di cittadini, studenti e lavoratori. Ma finora il sistema non è decollato per i molti dubbi che riguardavano segretezza del voto, privacy e procedure troppo complicate.

Un sistema interamente elettronico sarebbe sicuro e accettato qualora garantisse alcune condizioni fondamentali: il diritto di votare, ma senza poterlo fare più volte; la ragionevole certezza che il voto sia realmente segreto e libero da condizionamenti; la sicurezza che il sistema di raccolta e di elaborazione dei voti sia inattaccabile. Fattori questi difficili da realizzarsi tutti insieme, secondo molti esperti del settore. . Anche i sistemi tradizionali sono esposti a questi rischi, ma sorprendentemente il mondo digitale li amplificherebbe in modo esponenziale.

Il voto elettronico è utilizzato comunemente nelle elezioni politiche e amministrative in India, Brasile ed Estonia e, solo in casi particolari, anche in Francia, Svizzera e Regno Unito. È stato sperimentato e poi abbandonato in Olanda e Norvegia. Negli Usa sono tuttora in vigore sistemi di voto ibridi, e tutti fonte di polemiche. E’ ancora vivo il ricordo dei “problemi” che si sono verificati in occasione della semplice lettura ottica dei voti per le presidenziali del 2000, per non parlare delle vicende delle elezioni del 2016 e del 2020.

In Italia sono state condotte diverse sperimentazioni locali. Nella maggioranza dei casi hanno riguardato solo la lettura automatica delle schede. In Lombardia sono stati utilizzati dei tablet al posto delle schede cartacee in occasione dei referendum consultivi.

In Germania si è occupato del problema , nel 2009, addirittura il Tribunale costituzionale tedesco (analogo alla nostra Consulta), che ha dichiarato il voto elettronico sostanzialmente incompatibile con l’art. 38 della Legge fondamentale, che stabilisce che il Bundestag sia eletto «a suffragio universale, diretto, libero, uguale e segreto», prescrivendo che «tutti i passaggi essenziali di un’elezione [siano] soggetti a un possibile controllo pubblico».

Un quadro che non spinge all’ottimismo. Il governo probabilmente andrà avanti nel tentativo di sperimentazione del nuovo sistema, ma con prudenza, e riteniamo che, per le prossime politiche, si dovrà ricorrere ancora alle urne, alle schede cartacee, all’azione dei presidenti di seggio e degli scrutatori, alla raccolta dati che pur presenta anch’essa spesso qualche criticità.

Ma finché non si sarà certezza sulla segretezza, sulla sicurezza del voto, della raccolta dei dati e delle relative elaborazioni in via elettronica, meglio andare avanti con i vecchi sistemi che finora, sia pure con mille difetti, hanno consentito la segretezza e la libertà di voto. Ritardi, disfunzioni, poca organizzazione sono sempre più accettabili rispetto al rischio che un grande fratello governi anche la massima espressione della nostra democrazia.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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