Cambio dei premier, Italia primatista in Europa: 17 in 30 anni
In Italia i capi di governo durano meno che nel resto dell’Europa. Pur tenendo in considerazione le diverse forme di governo e di funzionamento politico, il confronto tra i 27 Paesi membri dell’Unione Europea sottolinea l’instabilità dell’Italia, come si evince dai dati raccolti. Infatti il nostro Paese ha il non invidiabile record del maggior numero dei premier cambiati in 30 anni, 17, vale a dire uno ogni meno di due anni. Il Paese più stabile risulta il Lussemburgo con soli 3 cambi, mentre si avvicinano al primato italiano la Lettonia e la Romania, con 16.
Se l’Italia è prima nel numero di premier cambiati, non è comunque da meno sul numero di esecutivi succedutisi negli ultimi 30 anni (19), collocandosi subito dietro la Romania (22) e la Lettonia (21).
L’instabilità dei governi può avere conseguenze negative, come le ha avute in Italia, sulla possibilità di realizzare progetti a medio o lungo termine. Basti pensare alle riforme da tempo invocate e mai realizzate. Anche le ultime, legate al PNRR, sono in forse visto che lo stop al governo Draghi non ne agevola certo la tempestiva realizzazione.
In Italia infatti la scelta (quasi obbligata) dei governi, in questi ultimi 30 anni, è stata quella di creare progetti a corto raggio, di immediata realizzazione, perché appunto l’instabilità ha costituito un elemento di cui si è dovuto tenere conto per avviare qualunque progettazione. Nel nostro Paese infatti, in qualche occasione, le politiche di alcuni governi hanno subito uno stop dovuto in buona parte alle ingerenze della Ue e degli ambienti finanziari internazionali.
Nel contesto attuale, nel quale l’avvento di Draghi a capo dell’esecutivo era stato salutato da quasi tutti come l’arrivo del salvatore della Patria (ma ricordiamo tutti la fine ingloriosa del governo Monti, autoproclamatosi SalvaItalia), l’instabilità politica potrebbe portare gli investitori a non rischiare i propri capitali su un Paese così ondivago.
I capitali che vengono bruciati a Piazza Affari ogni volta che c’è una crisi di governo portano gli investitori ad orientarsi verso soluzioni differenti. Le regole del mercato implicano regole non scritte che non lasciano spazio ai fraintendimenti: se non c’è sviluppo è inutile investire, per cui l’Italia, con l’immagine di un Paese instabile e sotto l’azione dello spread pilotato dall’esterno, non diventa più un paese attrattivo per gli investitori esteri.
Le prossime elezioni, secondo i sondaggi, potrebbero condurre alla formazione di un governo con una larga maggioranza, quindi potenzialmente più stabile, ma pur sempre di coalizione. Per l’esperienza passata sono proprio le coalizioni che si sfaldano alla base dell’instabilità politica. Senza dimenticare che ci sono poi agenti esterni e istituzioni internazionali, agenzie di rating che manovrano per mettere in difficoltà governi di orientamento politico sgradito.
Come successe nel 2011, e non è certo un precedente che induce all’ottimismo, visto che, come allora, c’è una Commissione Ue che potrebbe guardare col fucile spianato l’azione di un governo considerato sovranista, le agenzie di rating e la finanza internazionale che faranno altrettanto, senza dimenticare il ruolo, talvolta decisivo, del Capo dello Stato.
Se due più due fa quattro, il futuro scenario per il nostro Paese è già delineato, l’Italia è destinata a mantenere, anzi a rafforzare il poco esaltante primato degli esecutivi mutati in un trentennio. Ma speriamo che le nostre previsioni non corrispondano alla realtà.